The Logic of Stupid Poor People

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Post imperdibile per tutti coloro che non appartengono alla etnia negra.

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We hates us some poor people. First, they insist on being poor when it is so easy to not be poor. They do things like buy expensive designer belts and $2500 luxury handbags.

Screen shot 2013-10-29 at 12.11.13 PMTo be fair, this isn’t about Eroll Louis. His is a belief held by many people, including lots of black people, poor people, formerly poor people, etc. It is, I suspect, an honest expression of incredulity. If you are poor, why do you spend money on useless status symbols like handbags and belts and clothes and shoes and televisions and cars?

One thing I’ve learned is that one person’s illogical belief is another person’s survival skill. And nothing is more logical than trying to survive.

My family is a classic black American migration family. We have rural Southern roots, moved north and almost all have returned. I grew up watching my great-grandmother, and later my…

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La Cina è lontana

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Guardando la geomappa dei contatti e dei lettori di un anno di questo blog, ricavo che Anellidifum0 è letto nei cinque continenti, ma ci sono interi Paesi che, incredibilmente, ancora non hanno cliccato una sola volta su queste fondamentali pagine.

Quindi, oltre alla fame nel mondo, a Ebola e alle dittature, l’altra calamità che si aggira per vaste zone del mondo è la mancanza della conoscenza di Anellidifum0. Ma qui non si demorde, e si va avanti, là dove nessun uomo blogger era mai stato prima.

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Ecco perché mi è difficile recensire i libri di Balzerani

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Una versione più breve di questa recensione è stata pubblicata sul blog de Il Fatto Quotidano. Qui l’ur-testo.

Aldo; Antonio; Domenico; Ezio; Francesco; Girolamo; Giulio; Giuseppe; Lando; Michele; Oreste; Raffaele; Roberto; Rocco. Sono i nomi di battesimo di alcune delle vittime dirette o indirette di Barbara Balzerani, membro delle Brigate Rosse dal 1975, arrestata il 19 giugno 1985, condannata a sei ergastoli e messa in libertà dopo 21 anni di carcere e 5 di semi-libertà, nel 2011. Compagna luna; Perché io, perché non tu; Cronaca di un’attesa; Lascia che il mare entri. Sono i titoli dei libri di Barbara Balzerani pubblicati da DeriveApprodi fra il 1998 e il 2014. Libri di poche pagine, ma non per questo con un contenuto leggero o inane.

È difficile recensire Barbara Balzerani. Perché la prima domanda che ci si deve porre è: chi è Barbara Balzerani? Semplicemente una scrittrice, come alcuni giornalisti disinformati credono? Un’assassina, come sostengono i familiari delle sue vittime? Balzerani è una brigatista rossa che ha ucciso più volte e ha preso due lauree: una prima di essere arrestata in Filosofia, e una durante la carcerazione, in Antropologia. Una donna “che racconta storie attraverso parole scritte”, come lei si è definita. Una terrorista che non si è né pentita né dissociata dalla lotta armata. La Prima sezione penale della Cassazione le ha concesso la libertà condizionata e poi la scarcerazione spiegando che “sebbene non pentita”, si era “ravveduta” intraprendendo un percorso di reinserimento sociale “costruttivo” e “concreto”. Per me la Legge Gozzini – il più famoso dei provvedimenti che trasformano il “fine pena: mai” in sanzioni più umane, fino alla scarcerazione per buona condotta – è un simbolo di profonda civiltà. Devo dire però che quando la scarcerazione completa è concessa per chiunque sia stato condannato a più di un ergastolo, e senza nemmeno dissociarsi, sento un senso di ingiustizia.

Capite perché è difficile recensire Balzerani? Perché è molto probabile che queste pubblicazioni siano arrivate solo poiché l’autrice ha avuto la biografia che ha avuto. E se è così, diventa impossibile non giudicare la pagina scritta assieme alla penna che l’ha vergata. Qui ho deciso di assumere un atteggiamento olistico: recensire i libri della scrittrice Barbara Balzerani, terrorista rossa non pentita e non dissociata. Anzitutto, sbugiardiamo l’editore: la dicitura “romanzo” in calce alla copertina è puro surrealismo. Questi di certo non sono romanzi. L’attributo è dato per basse (e capitalistiche, “compagna” Barbara) ragioni di marketing: si vendono più i romanzi che i testi di memorialistica. Tuttavia per la categoria narrativa manca un quid essenziale: la finzione. Manca anche l’intreccio narrativo. E mancano i personaggi. Sono tutti ricalcati dalla realtà. Le invenzioni, se ci sono, sono ridotte al minimo. Per paradosso, questo fatto rende i libri di Balzerani più interessanti che non se fossero stati dei romanzi.

Il primo libro, Compagna luna, è il più famoso. Pubblicato per la prima volta da Feltrinelli nel 1998 nella collana di saggistica “Serie bianca”, è stato al centro di una famosa polemica fra autori della casa di Milano, soprattutto fra Antonio Tabucchi ed Erri De Luca. Il primo lo stroncò, con recensioni dure su stile, lingua e contenuto: “Un kitsch che ricorda la propaganda di Hoxha e i sentimenti di Sanremo. […] Meglio il silenzio se non si ha il coraggio di affrontare i nodi profondi”. Stroncò soprattutto la sua autrice, comunicando alla Feltrinelli un aut-aut: o pubblicate me, o pubblicate lei. Il secondo, De Luca, prese le difese di Compagnia luna basandosi su questioni biografiche più che stilistiche o formali (“Il professore e la detenuta” Il Manifesto, 14 luglio 1998). La fine è nota: Balzerani ceduta alla più piccola DeriveApprodi e Tabucchi purtroppo deceduto, ma sempre autore Feltrinelli.

Compagna luna è un testo scritto attingendo da due calamai che mal si mischiano: l’ideologia e la lirica. È un libro urticante e vivace, che si alimenta di una nitida schizofrenia. Questa è visibile sin nella grafica con un alternarsi continuo di testo in tondo e in corsivo. Col tondo l’autrice narra di sé in terza persona, guardandosi dall’esterno. In corsivo la scrittrice narra di sé in prima persona, guardandosi dal di dentro. Si vorrebbe poter dire che la visione dall’esterno in terza simboleggia una presa di distanza di Balzerani d’oggi verso Balzerani di ieri. Non è così.

Nella nuova edizione 2013 DeriveApprodi, l’autrice aggiunge una prefazione in cui dichiara: “Queste pagine sono il racconto dell’inizio di un viaggio di ritorno tra le schegge di uno specchio andato in pezzi, riflessi di una vita frantumata. La fotografia di uno stato di solitudine per la scomparsa di un mondo di relazioni. […] Una dichiarazione di amore testardo a difesa di una memoria partigiana.” E qui iniziano già i dolori, per l’uso di quell’espressione, “memoria partigiana”, che l’autrice non adopera a caso. Qui sorge, per me, il primo di tanti no. Perché l’operato dei brigatisti rossi fu una vacua follia assoluta: la convinzione di poter realizzare la rivoluzione comunista in Italia, attraverso una lotta armata che incluse l’uccisione mirata di uomini dello Stato democratico. Qui un elenco parziale delle vittime. La lotta partigiana fu il tentativo di opporsi a un’invasione armata da parte di un alleato del regime autoritario in via di rovesciamento e dei suoi irriducibili accoliti fascisti. Un’errata e imbecille utopia, quella dei brigatisti rossi; un formidabile tentativo di giustizia e libertà, quello dei partigiani. Fenomeni divisi nel contenuto e nell’esito finale. Balzerani continua: “Questa non è la storia delle Brigate Rosse. Non potrei essere io a farla. È solo una parte di quanto ho vissuto e di come. È il risultato dei miei interrogativi più urgenti. È la richiesta di aiuto per provare a scioglierli. È la speranza che si possa infine farla quella storia.

E allora analizziamo la richiesta d’aiuto. Uno dei problemi che emergono da Compagna luna è che se dovessi cercare un titolo alternativo, mi verrebbe in mente Barbara odia tutti. Perché dei quattro agili volumi, questo è quello in cui è più palpabile la rabbia dell’autrice. Barbara odia anzitutto i terroristi pentiti (rei della “infamia dei traditori” p. 96) che hanno contribuito con la loro collaborazione al suo arresto. Poi odia i politici (77), i giudici (54), i giornalisti (89), i poliziotti che secondo lei furono responsabili dello stato delle cose dell’Italia degli anni Settanta. E odia gli americani (86), le donne, le femministe (60), gli scrittori come Tabucchi (10) che s’azzardano ad andarle contro, e i cineasti come Calopresti che provano a far cinema sulla storia di una ex brigatista in La seconda volta (128). Odia la polizia penitenziaria (114). Barbara odia il padre, colpevole di essere troppo un uomo del suo tempo, e di avere in buona considerazione Mussolini (44). Barbara odia almeno un po’ anche la madre (59), anche lei troppo donna della sua epoca, operaia che ha accettato di mangiare alla mensa dei padroni anziché ribellarsi. Non una riflessione sul fatto che la famiglia Balzerani è passata nel giro di tre generazioni dalla servitù della gleba veneta, al lavoro in fabbrica, all’essere studentesse di Filosofia alla Sapienza di Roma, il tutto nell’arco di quel vero miracolo dello Stato italiano contro cui Barbara ha imbracciato il mitra. Va detto che nei libri successivi questo odio si stempera. Va detto che Balzerani, soprattutto in Lascia che il mare entri, il testo più elegante e poetico, recupera almeno il rapporto con gli avi. E tuttavia il problema principale per me è che la lotta armata in Compagna luna, ma anche in Perché io, perché non tu e nell’assai peggiore, slegato e più gratuito Cronaca di un’attesa è ancora presentata sotto una chiave di giustezza, di lealtà del principio, persino di utilità. È questa, l’utilità, la cosa che sorprende di più. Balzerani pare pensare di aver fatto bene ad aver agito come ha agito. Manca, del tutto, qualunque capacità di empatia verso le vittime o i familiari delle vittime. Perché questa è la lezione poetica data da queste pagine, in certe parti anche artisticamente piacevoli: la follia ideologica esiste, e pensa pure di avere ragione.

Com’è finita con le multe del sindaco Marino?

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E’ finita che il sindaco Marino ha pagato per multe che non avrebbe dovuto ricevere e che infatti erano state annullate dall’ufficio contravvenzioni del Comune di Roma.

Faccio notare che il sindaco, dal giorno della sua elezione alla fine del suo mandato, ha diritto a 4 passi Ztl. Marino ha una sola auto, quindi ne ha preso uno solo. Il passi è valido per 5 anni, ma per stupida burocrazia, l’ufficio del sindaco deve aggiornarlo ogni anno solare. Nella settimana in cui il permesso del sindaco era figurativamente scaduto, e quindi la macchina fotografica del varco lo ha colto in infrazione, Marino era sempre sindaco e dunque la sua auto aveva comunque diritto a entrare in Ztl. Ecco perché le multe sono state annullate: perché non dovevano essere comminate. Marino ha pagato lo stesso per dare un esempio a quelli che pensano che il sindaco sia un cittadino come gli altri, anziché essere il primo cittadino, con permesso di entrare in Ztl per 5 anni, così come la legge stabilisce.

Qui per saperne di più.

Ignazio Marino: Il PD romano scherza ancora una volta col fuoco

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Lo avete fatto rimbalzare sui vostri muri di Facebook 6.300 volte, quindi mi pareva giusto ripubblicare il post anche su Anelli, ora che è andato via dalla prima pagina del Fatto.

Ignazio Marino sì, Ignazio Marino no. Raramente un sindaco di Roma è stato al centro di tante polemiche a poco più di un anno dalla sua elezione. Elezione che, occorre ricordarlo, si costruì attraverso una schiacciante vittoria alle precedenti primarie (54,58% dei consensi contro il ben più famoso e quotato David Sassoli, secondo con nemmeno la metà dei voti, il 24,28%, e terzo l’attuale ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, con solo l’8,12% dei voti) e vide Marino affermarsi al secondo turno delle Comunali contro il sindaco uscente, Gianni Alemanno, con un indiscutibile 63,97% a 36,07%.

Marino, chirurgo affermato, è entrato in politica nella sua seconda vita professionale. Proprio per questo, e per la sua clamorosa attitudine a non tenere conto delle clientele che esistono in ogni partito, si è meritato sul campo un soprannome assai efficace: “il marziano”. Solo un marziano, infatti, avrebbe potuto pensare di rispettare le promesse elettorali fatte durante la sua campagna: prima fra tutte, la chiusura della discarica di Malagrotta, banalmente la più grande di tutta Europa, già oggetto di una famosissima puntata di Report di quelle da far cadere le braccia, nonché di una procedura d’infrazione aperta dalla Commissione Europea contro l’Italia per violazione della direttiva comunitaria 1999/31 CE sullo smaltimento dei rifiuti “tal quale”, ossia non trattati.

La chiusura della discarica e l’introduzione a Roma (all’alba del 2014!) della raccolta differenziata, che in nemmeno un anno in città è arrivata al 38% del totale, una percentuale seconda solo a Berlino fra le grandi capitali europee, ha fatto sì che il marziano si facesse da un giorno all’altro nemico una mezza milionata di romani i cui interessi coincidevano con il mantenimento del “sistema Malagrotta”. Come risultato, Marino (e la città di Roma) hanno subìto la reazione ingiustificabile di quei netturbini che avevano un interesse di categoria verso lo status quo e hanno boicottato il sindaco (e i cittadini romani) raccogliendo rifiuti in modo fittizio. Nel giro di pochi mesi, tutti i romani si sono resi conto che qualcosa non andava: cassonetti straboccanti, pattume a terra, marciapiedi più sporchi del solito, discariche in periferia create dal nulla, perfino roghi di dubbie sostanze con lunghe colonne di fumo nero. Una situazione da 2019: dopo la caduta di New York. La capitale d’Italia nel giro di pochi mesi è diventata più sporca e fetente che mai, e sì che Roma non ha mai brillato quanto a efficienza del decoro urbano. Tutti se la sono presa con chi? Ma col sindaco che ha fatto chiudere la discarica multata, e che, chiudendola, ha anche assicurato che la città potesse nuovamente ricevere i finanziamenti europei non più assegnati a chi è colto in procedura d’infrazione.

Come se non bastasse, il marziano ha preso di petto la cronica parentopoli delle municipalizzate e partecipate romane. I lettori ricorderanno lo scandalo detto “Parentopoli” della Giunta Alemanno, col quale furono assunti in Atac, Ama e altre società municipali romane alcune migliaia di parenti e amici-degli-amici del tutto incompetenti. Lo scandalo fu tale che Alemanno ci rimise l’elezione del secondo mandato. Con Marino, candidato del Pd, si poteva temere che a una parentopoli di neo-e-postfascisti si sostituisse come nella peggiore tradizione italica una di post-post-comunisti, mentre invece il marziano ha posto uno stop alle assunzioni a tempo indeterminato nelle società di Roma Capitale e ha, orrore, perfino ridotto drasticamente il numero di società partecipate dal Comune di Roma, con un risparmio di 9,5 milioni di euro. Il Marziano ha poi tagliato la spesa per 93 milioni di Euro in Ama, 70 milioni di Euro in Atac e 25 milioni di Euro negli affitti passivi.

Non contento di avere aizzato contro di sé tre quarti del suo stesso partito, il Marziano ha proceduto nell’attuazione del suo programma elettorale, che includeva il miglioramento del trasporto pubblico e la pedonalizzazione totale del Tridente Mediceo. Chiudere queste strade ad auto e motorini è un’operazione dettata dal buon senso, da ragioni economiche e di salute. Di buon senso perché non esiste città al mondo che abbia un centro prestigioso e che lo tenga aperto al traffico su due o quattro ruote. Un centro pedonalizzato attrae turisti e assicura la caduta dei livelli di concentrazione di smog. Ma a Roma chi tocca il traffico su due ruote, muore. Così, da un giorno all’altro il Marziano si è assicurato un’altra mezza milionata di nemici.

Questi sono i veri motivi per cui le opposizioni contro Marino si sono coagulate in questi giorni. Questi sono i motivi per cui nelle ultime settimane si sono alzati polveroni che riguardano questioni risibili di multe autostradali mai notificate al sindaco. Lunare che per una roba così (nella peggiore delle ipotesi, Marino deve pagare 640 Euro in multe perché sua moglie è entrata nella Ztl di Roma col permesso scaduto) si possano chiedere le dimissioni di un sindaco che chiaramente non sta facendo gli interessi della sua parte politica, ma quelli della sua città sì. Poiché dietro a questi polveroni non c’è solo il senatore della Destra, Augello (già assessore al Bilancio della Giunta Storace, quella che causò il buco di 10,7 miliardi di Euro nelle casse della Regione Lazio), ma anche gli avversari interni di Ignazio Marino, a cominciare dall’elettoralmente umiliato David Sassoli, viene da dire che il Pd romano, dopo la zappata della ricandidatura del politicamente redimorto Rutelli nel 2008, pagata con l’avvento di Alemanno, scherza ancora una volta col fuoco. Perché se il Pd romano disarciona il proprio sindaco, saremo in molti alle prossime Comunali a votare per chiunque, ma non per il Centrosinistra. Perfino il M5S diventerebbe un’opzione, per quanto mi riguarda.

Per completezza d’informazione, segnalo anche il post uscito successivamente di questo blog dal brutto nome (Romafaschifo.com) che però è riuscito a trovare dettagli dell’operato di Marino che io pure avevo cercato, ma non avevo trovato controprove sufficienti per inserirle nel mio pezzo. Bravi ai colleghi del blog.

Stai a vedere che ho un figlio italiano

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indexIl libro è godibile, a tratti godibilissimo. E’ una sorta di diario personale di un corrispondente americano dall’Italia, che ha sposato una cittadina italiana e ha avuto due figli, cresciuti a Roma. Il punto di vista sulla città del Cupolone del giornalista americano è la cosa più divertente e piacevole del volume. Il punto è che per alzare le 170 pagine di cui si compone, l’autore ha deciso di inserire capitoli che non hanno nulla a che vedere col figlio o con la sua famiglia, ma molto hanno a che fare con le storie di cronaca o politica che dovette coprire come corrispondente dall’Italia. E’ questa la parte invecchiata della narrazione, forse con la sola eccezione delle poche pagine su come il nostro visse l’11 settembre 2001 mentre si trovava a Istanbul, al telefono con la sorella. E’ invece un peccato che l’autore non abbia sfruttato meglio la parte di riflessione filosofica su cosa significhi, per una famiglia, radicarsi e sradicarsi da un paese all’altro. Qualcosa mi dice che Israely avrebbe saputo fare bene in questo senso.

Per il resto, è una lettura da fare, specie se trovate il libro su una bancarella, come è capitato a me.