Bye bye, Duemilaenove

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Che anno è stato? Oppure, come scriverebbero certi troll berlusconci: che hanno è stato?

E’ stato un anno di passaggi e di barriere.

L’anno della chiusura, dopo 30 mesi, di una relazione significativa, per mia volontà. Barriera.

L’anno dell’uscita di Coppie, e della sua entrata in finale al Tondelli. Passaggio doppio.

L’anno del superamento di un esame di traduzione dal latino all’inglese, che se non superato poteva compromettere il Ph.D. Passaggio.

L’anno dell’assestamento canadese, il terzo. Passaggio.

L’anno di un doppio incarico lavorativo, alla faccia di chi assegna le cattedre secondarie nel mio Dipartimento. Passaggio.

L’anno di una salute che, tutto sommato, ha retto bene. L’influenza A per ora l’ho sfangata, ma quella stagionale m’ha portato sulle brezze dei 40,5°C. Non accadeva dal 1985. Of course, scrivo col mal di gola. Passaggio a ostacoli.

Un anno passato a leggere: 78 libri, secondo Anobii, per un totale di 17.796 pagine. Pare essere il record di sempre, ma temo siano dati fasulli. E’ solo che quest’anno ho segnato quasi tutti i libri letti, mentre per il passato no. Sul podio comunque finiscono il 2004 con 70 libri e il 1998 con 60. Passaggio.

Un anno di sesso variegato al cioccolato, alle volte fatto ridendo per l’incredulità (l’olimpionico della Costa d’Avorio). Passaggio, anzi, panta rei.

Un anno di saggio silenzio. Barriera.

Un anno di ritorno alla scrittura: ben due romanzi finiti, limati e proposti, con fortune maggiori del passato, che mi hanno portato a quasi grattare il cielo con un dito, ma non a toccarlo. Passaggio a ostacoli.

Un anno di no. Quei no che fanno soffrire, che fanno riflettere, che fanno crescere e che, a volte, fanno suicidare. Io però, sotto questo versante, sono immune. Barriera.

Un anno ad accudire amici finiti in crisi. E che ancora lottano. Barriera.

Un anno a porsi punti interrogativi su quel che sarà di me alla fine del dottorato. Passaggio, perché in fondo un po’ d’incertezza è meglio del tutto certo per sempre.

Un anno, finalmente, di bambini altrui, bellissimi e puffosi, a chiedersi se io diventerò mai padre. Passaggio e barriera.

Un anno in videoconferenza con chi amo. Passaggio o barriera? Ai posteri.

Insomma, un anno agrodolce. Speriamo che il 2010 sciolga qualche nodo o che per lo meno, porti in dote un buon pettine.

La bellezza di certe persone semplici

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In questi giorni dicembrini ho rivisto una caterva e mezza di persone importanti. Si tratta spesso di amici conosciuti circa un quarto di secolo fa, altre volte amici conosciuti nell’arco degli ultimi 10-20 anni. Sì perché una caratteristica dei miei rapporti d’amicizia, quando escono come le ciambelle col buco, è che tendono a durare per tutta la vita, un po’ come le piante d’appartamento ben tenute, fertilizzate, bagnate e ogni tanto potate. Se non fate niente, invece, le piante d’appartamento dopo pochi giorni muoiono e cominciano pure a puzzare. Lo stesso accade con gli amici.

Fra le varie belle persone riviste – e ogni volta è una festa, e un raccontarsi le cose principali del semestre passato all’estero (io) e del semestre italiano (loro) – c’è stato un ragazzo che non vedevo da 2-3 anni e che ha avuto un periodo cupo da superare. La morte di suo papà, una brutta notizia di salute che lo riguarda, il “normale” precariato lavorativo e di vita. E tuttavia, con infinita pazienza e voglia di andare avanti, questo mio dolce amico è riuscito prima a raccogliere i cocci e poi a rimettere in sesto una vita davvero un po’ troppo agra, per i suoi 26-29 anni. Io e questo amico non abbiamo, all’apparenza, granché in comune. Lui è di un piccolo paesello della provincia romana, io sono romano e cittadino. Lui ha strappato un diploma all’istituto tecnico e poi s’è messo a lavorare, seguendo la pista del “c’è quel che c’è”. Io ho seguito un percorso fatto di studio, ricerca e lavoro per lo più intellettuale, anche quando m’ero fatto prendere per vendere appartamenti, in un momento di maggiore crisi. Lui, per rilassarsi, accende la tv, io apro un libro o il computer, o scrivo. A distanza di anni, possiamo dire di averla sfangata tutti e due. Di avere cercato con il lanternino un viottolo e di averlo fatto nostro. Adesso lui ha un contatto a tempo indeterminato in una stamperia. E’ un lavoro ripetitivo e non sicurissimo: la ditta è privata, gli stipendi arrivano con ritardi di 2-3 mesi. Però è già meglio del lavoro part-time nel call center della Tim, dove pure gli avevano a un certo momento offerto un contratto a tempo indeterminato. Io, per realizzare quel che volevo fare, ho scelto di varcare un oceano e di finire in un Paese tristemente più avanzato del nostro. Mi sono detto disponibile a mettere distanza fisica tra me e le persone a cui voglio bene, di cui mi sono sempre preso cura a modo mio. Distanza fisica anche tra me e lui. C’eravamo persi di vista, per via di una serie di disguidi, ma per fortuna non avevo mai cancellato il suo numero di cellulare. Così, pochi giorni fa, l’ho cercato e ci siamo rivisti. E’ stata una nostra piccola e intima epifania. Un celebrare noi stessi e l’essere riusciti a dominare situazioni non piacevoli. Con semplicità e testardaggine.

Il bello del mio amico è, appunto, in questo: una persona semplice, ma con l’idea di cercare d’esser felice. Hai detto poco. Ho una gran stima di ciò che ha saputo fare nelle sue condizioni difficili, e penso che lui se ne accorga, lo sappia. Al termine di un pomeriggio molto pieno di racconti e di sorrisi, ci siamo abbracciati stretti. Magari la prossima volta che ci vedremo sarà tra sei mesi, ma intanto sappiamo tutti e due che faremo il possibile per esserci uno per l’altro, per il resto dei nostri giorni. La semplicità e la purezza che sa trasmettermi lui, è qualcosa di cui voglio saper far tesoro.

Regionali, la galleria degli orrori e la politica dei due forni

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Il leader dell'UDC, Pierferdy Casini

In questi giorni ho capito una cosa: è un bene che io sia in Canada quando si voterà per le Regionali, perché qui nel Lazio, al pari che in Puglia, avrei seriamente rischiato di dare un voto di protesta contro il PD, più che un voto per un programma. Sarebbe finita a votare per Nieri, se ci sarà la sua candidatura, o magari per la Polverini che, va detto, di tutte le candidature possibili della Destra è di gran lunga la più presentabile e in un certo senso seducente. Donna politique-politicienne, sindacalista, viene dall’MSI e non da Forza Italia o dalla Lega. Lo so che suona inaudito rivalutare l’esperienza missina ex post, ma la realtà è che la xenofobia della Lega e la pidocchiosità piduisto-craxian-mafiosa dei berluscloni è tale da farmi considerare perfino l’esperienza missina come degna di maggiore rispetto e riconoscimento. Per carità: sono e rimangono cosa altra rispetto a ciò in cui credo io, ma poiché sembra che il PD possa tranquillamente cambiare la sua sigla indifferentemente in PDL oppure in NP (Non Pervenuto), mentre a Sinistra sono troppo impicciati a scindersi tra socialisti-socialisti, socialisti-ecologisti, ecologisti-ecologisti, comunisti-comunisti, comunisti-rivoluzionari, comunisti-trotzkisti, comunisti-critici e un’altra mezza dozzina di sigle varie, viene proprio il desiderio di assistere non a una vittoria della Destra, ma di più, a un suo trionfo, a una vittoria schiacciante ed epocale, a un cataclisma che non lasci politicamente vivo NESSUNO degli apparati di partito del PD-SeL-PSI-PRC-Verdi.

Non voglio scendere nei particolari delle liti fratricide di Puglia, Lazio, Veneto, Lombardia. Dico solo, per usare un termine tecnico politologico, che fate schifo al cazzo e vi ci votate voi. Io vado in Canada, e la sera dello spoglio ne rideremo qui tutti insieme. La cosa drammatica è che constateremo come l’UDC avrà vinto tutte le regioni, con la più classica della politica dei due forni: mi alleo nelle Marche col PD perché lì probabilmente vince il PD, e nel Lazio con la Polverini perché lì vince il PDL. Proprio un gran statista, quel Casini.

Partire, per poi tornare?

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A Grosseto il presidente dell’Arci Gay (un ragazzo molto giovane) mi chiedeva se ha davvero senso rimanere in italia considerata la situazione. Gli ho risposto che forse è il tempo di andare fuori, vista la delicatezza del momento storico che viviamo, per poi idealmente tornare nel nostro Paese, fortificati mentalmente da ciò che si può vivere oltre confine. E provare, a quel punto, a cambiare le cose in casa nostra. Ho cercato di spiegargli la differenza tra il fare la rivoluzione nella propria vita, emigrando per un periodo o per tutta la vita all’estero, e il cercare di fare la rivoluzione nel proprio Paese, sapendo di lavorare a mo’ di ingranaggio di un sistema che rimarrà uguale a se stesso per il corso della nostra vita, ma che potrà cambiare fra 30 o 50 o 100 anni, anche grazie a ciò che abbiamo fatto noi, di quasi insignificante, oggi.

Sembrava preoccupato, e ne capisco la preoccupazione.