Chi è in realtà Fabrizio Cianci, radicale (?)

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Fabrizio Cianci lo conosco da molti anni. E’ uno appassionato di politica, da sempre nell’area radicale. Prima era contro Pannella, aveva fondato un’associazione chiamata Radicali di Sinistra, a cui avevo anche preso parte. Poi Fabrizio Cianci è tornato fra i Radicali di Pannella. Fin qui, niente di male, è la storia di tanti politicanti entrare e uscire dai partiti come camerieri in una sala ristorante, a seconda delle convenienze personali. Fabrizio Cianci è di quelle persone che se gli dici che la pensi come lui, puoi esserci tranquillamente amico. Se invece lo contesti nel merito, risponde così:

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Singolare che Fabrizio Cianci, che si dice campione dei diritti civili, decida di usare turpiloqui omofobi per insultare una persona che pure lui conosce dai primi anni Novanta che gli ricorda che la Legge Acerbo non aveva il ballottaggio e non prevedeva il libero voto, e quindi proprio uguale all’Italicum, dopotutto, non è.

Screen Shot 2015-04-25 at 11.41.29 PMRimane il fatto che in Italia la gente tipo Fabrizio Cianci non è mica poca. Occorre solo smascherarla un po’ più spesso di quanto si faccia, per esempio usando l’ottima funzione Screenshot, che permette di riprodurre esattamente le parole usate e il loro autore.

Bellicapelli, Fischio, Er Banana e il rito della partita di calcio

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[…] Facevano parte della comitiva una variegata e variopinta umanità di maschi, vicini di caseggiato e cugini che abitavano nella zona. Ciascuno con un nomignolo il più infamante possibile, che ne sottolineava delle caratteristiche evidenti o più segrete. Tu eri Bellicapelli, a causa di una massa a fungo insieme al maledetto taglio a caschetto che tua madre aveva deciso per conto tuo, incurante dei commenti degli altri pischelli: “Pare che t’hanno messo un vasetto in testa e poi te c’hanno tarato i capelli torno torno...” C’era di peggio: Andrea aveva un ventaglio di soprannomi, ma il principale era “er Banana”, che faceva riferimento sia alla sua altezza, che alla scarsa fattura dei suoi tiri. Lui però, furbo, era l’unico che veniva in strada vestito di tutto punto da portiere. Anzi no, veniva vestito da francotancredi, come diceva lui, e fargli gol era un balsamo. Poi c’era Muco, uno scricciolo di ragazzino che girava pure in estate con un fazzoletto di stoffa pieno di moccio. Francesco era Fischio, perché quando arrivava da dietro per marcarti durante una partita, lo avvertivi dal respiro asmatico sibilante. Caccola era sempre còlto con le mani in esplorazioni olfattive. Matteo era Caracca, perché aveva un tiro micidiale. E poi c’era Muro, un bestione bravissimo in difesa, così bravo da arrivare a giocare in serie C con la Lodigiani.

Fioccava anche una serie di nomignoli che non hai mai capito a cosa fossero dovuti, né hai mai osato chiedere: Alboino, Gilberto, Papero, Boccia, Sparecchio, Zio, Perlana, Foglia morta e Pianta. I capi della comitiva erano i più grandi e a parte questo li riconoscevi anche dal modo rispettoso in cui venivano chiamati: col loro vero nome, come nel caso di Rocco. O con variazioni leggere, com’era per Romoletto. Con nomignoli che mettevano in luce una qualità invidiata da tutto il gruppo, come per Caracca. A ricordarli oggi, riesci ad associare a ogni soprannome un volto, ma si tratta quasi sempre di volti di bambini, dai sette ai quattordici anni. A parte il gruppo che poi ti sei ritrovato anche sui banchi di scuola delle medie e del liceo, gli altri, infatti, non li vedi da più di vent’anni. Ti capita di passeggiare per le strade del Prenestino e di avvertire una vaga familiarità con ceffi di coetanei alquanto minacciosi, che potrebbero essere quelli con cui hai condiviso i pomeriggi più lunghi della tua infanzia dietro a un pallone. Ma la grinta di quelle facce indurite dagli anni ti ha sempre trattenuto dall’indagare oltre.

Dopo aver sbrigato i compiti per il giorno dopo, oppure rinviandoli a momenti migliori, correvi fuori per giocare a calcio, mentre la mamma restava sull’uscio a urlare. Andavi sotto casa, salutavi il resto della pipinara che già trovavi a cavalcioni o in piedi sul muretto in cortile, e iniziava la caccia al pallone. Ne bastava uno qualsiasi, quando andava bene un Tango Dirceu, ma spesso vi accontentavate di un misero SuperTele. Il SuperTele aveva il pregio di regalare al tiro di chiunque le più imprevedibili traiettorie dovute alla resistenza dell’aria, ma tutti facevano finta che fossero dettate dalla sapienza del proprio piede, come neanche Zico. A quel punto, i più forti tra voi facevano a pari e dispari per formare le squadre. Cominciava allora uno dei riti più importanti, un momento archetipico, che avrebbe segnato il tuo ruolo nella società: la scelta dei compagni. I primi della selezione erano quelli ritenuti più bravi. Via via, a scalare, i due “capitani” si dividevano i bravini, le mezze seghe, le seghe e, a mo’ di zavorra obbligatoria, i negati, che in genere venivano destinati in porta. Il ruolo del portiere era il meno ambito, a parte Banana con la sua divisina da francotancredi del cazzo. In genere si faceva a turno: a ogni gol subìto un cambio. Stare tra i pali immaginari non era poi malissimo: dava modo di rifiatare anche se risultava noioso e aveva i suoi rischi. Quando la partita sbracava del tutto, si decideva la regola dei portieri volanti: ognuno degli estremi difensori poteva uscire dalla sua area e mettersi a giocare in altro ruolo, mentre qualunque compagno si ritrovasse in prossimità della propria rete poteva parare e prendere la palla con le mani. Una regola fatta apposta per scatenare infinite discussioni sull’estensione dell’area di rigore. Finita la conta e formate le due squadre (che non erano mai pari), la sfida cominciava. Il proprietario del pallone giocava sempre, anche se era “una pippa”, ossia il gradino sotto al negato.
La palla era sempre di una pippa.

L’introduzione di regole assolute durante lo svolgersi del gioco, a ripensarci oggi, era un gioco di autorità niente male. Non erano regole scritte, ma tramandate dalla tradizione orale, in un mantra indiscutibile: “Rigore su gol, è gol…”; “Ogni tre angoli, un rigore…”; “Ogni due traverse, un rigore…” Poco importa che, per dire, le traverse fossero invisibili, come il resto della porta. Non si potevano vedere e toccare, certo, ma senza dubbio esistevano in qualche dimensione della vostra fantasia, e finivano col produrre risultati nella realtà.

Un campo da calcio vero e proprio non esisteva mai, se non per delle epocali sfide tra comitive di quartieri confinanti, che organizzavate una volta o due all’anno. In tali occasioni, che davano materia di discussione per mesi e mesi sia prima che dopo il match, ci si spostava per mezza Roma alla ricerca di un campo più o meno regolamentare e alla nostra portata economica. In quelle partite si metteva in mezzo qualcuno a fare da arbitro, ma i guardalinee no, quelli no. Alla fine, la scelta cadeva sempre su due strutture. Una lontana, per le partite fuori casa: il “Cristo Re” di via Acherusio, nel cuore del ricco quartiere Trieste. […]

[Dal romanzo Anelli di fumo, pp. 162-4]

Nomi e Cognomi

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Maria Eleonora Bragagnolo.

Daniele Cangini.

Marcopaolo Maria Tavazzi.

Ripetete, o anellidi, con me e con Man Without a Country questi nomi. Sono i nomi di quegli italiani infami che esprimevano giubilo dinanzi alla morte di 950 esseri umani. Hanno diritto alla loro infame opinione? Ma certo. Come hanno il dovere di portarne sulle spalle e sulla testa la memoria e la disapprovazione del resto del Pianeta Terra.

Maria Eleonora Bragagnolo.

Daniele Cangini.

Marcopaolo Maria Tavazzi.

Ricordateveli. Ripostateli. Che l’oblio cada il più tardi possibile.

A Man Without A Country

Maria Eleonora Bragagnolo.

Daniele Cangini.

Marcopaolo Maria Tavazzi.

Maria Eleonora Bragagnolo vive a Vicenza e ha un account su Facebook. Dice di aver studiato all’Università di Padova e sull’header oltre alla sua ha la foto di un pastore tedesco. Ha anche un account su twitter, in cui si definisce “vecchia pensionata curiosa” e da dove ieri ha postato questo:
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Daniele Cangini sta su twitter anche lui. La sua auto-descrizione è un po’ più lunga: “Intermediario agente di assicurazioni appassionato di politica amo sciare e giocare a tennis sposato con una donna meravigliosa e padre di due magnifici figli”. Eccolo qui, potete guardarlo in faccia, suppongo in compagnia della donna meravigliosa e dei magnifici figli citati sopra. Anche lui ieri ha postato un tweet, ora cancellato, ma ancora visibile ad esempio qui:

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Di Mariopaolo Maria Tavazzi so anche meno. Ha un account Facebook anche lui e da quello ieri ha commentato, insieme ad altri, cosí

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L’attacco alla famiglia di Papa Francesco: di generare e di genitori e di teoria gender.

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Cristiana Alicata batte papa Cecco 2 a 0.

NON SI POSSONO FERMARE LE NUVOLE

tumblr_nip743grka1ry5q8mo1_1280Ho condiviso il coraggio di Papa Francesco che ha ricordato il genocidio armeno  e non mi sarei mai sognata di dire che è stato inopportuno per gli equilibri tra Turchia ed Europa. Sarebbe come dire che ricordare l’olocausto con il corretto ed enorme senso di colpa collettivo ci mette in difficoltà nella risoluzione del conflitto tra palestinesi ed Israele e nessuno oserebbe.

Così come oggi NON condivido le sue parole sulla teoria gender. Non esiste nessuna teoria gender, non esiste alcuna propaganda di modelli di famiglia rispetto ad altri. Semplicemente esistono più modelli di famiglia.

L’errore che continuano a fare una parte dei conservatori, tra cui la Chiesa, è attribuire alla capacità di generare anche la genitorialità. Sì è vero. In natura fanno figli un maschio e una femmina. E’ sacrosanto, cristallino, nessuno oserebbe metterlo in dubbio mai. Ma sostenere che quell’attitudine naturale alla procreazione determinata dalla natura per il…

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One-winged Angels, the excerpt published by The Chicago Quarterly Review

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CQR #20, The Italian Issue–cover illustration by Rossana Campo

CQR #20, The Italian Issue–cover illustration by Rossana Campo

It’s an interesting and intelligent selection the one proposed by The Chicago Quarterly Review for their special issue on Contemporary Italian Literature and Poetry, guest edited by Michela Martini. Together with famous and established names such as Edoardo Sanguineti, Aldo Palazzeschi, Rossana Campo, and Emanuele Trevi, also less known and yet popular names, such as mine, in this stunning collection of poetry and prose translations of contemporary Italian literature.

Thus, in The Italian Issue (volume 20 of 2015) of The Chicago Quarterly Review, beautifully appear also the first two chapters of my award-winning novel One-winged Angels, translated in English by Silvana Mastrolia and myself. The original Italian version–which can be bought online here if you live abroad of Italy, or here if you live in the Belpaese–has sold so far 7,700 copies and has been praised by readers and critique alike. Now I am just waiting for the right American publisher to knock at my door.

An excerpt of the CQR excerpt is downloadble from here. Enjoy!

Paolo Di Vincenzo de Il Resto del Carlino ha letto AdF e gli è piaciuto

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Se vivete nella provincia di Teramo, oggi potete leggere sulle pagine culturali de Il Resto del Carlino questa bella recensione di Paolo Di Vincenzo. Se non risiedete lì, ve la potete leggere qui sotto. Cliccate sulla foto per ingrandire.

Resto del Carlino 10.4.2015

Il G8 a Genova, e io a Cremona, in una redazione e in una parrocchia

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Così tanto per ricordare. Poi dice: come mai non ti hanno assunto a La Provincia di Cremona durante quello stage? Forse perché quando il direttore del giornale commentò con la sua consueta eleganza che Carlo Giuliani era “solo un maiale comunista”, io gli dissi che quello era un commento da banali maiali fascisti, e che in piazza era morto un ragazzo, magari violento e con un estintore fra le mani, ma pur sempre un ragazzo di vent’anni, e che i carabinieri non sono pagati per uccidere o vendicarsi, ma per difendere e servire.

Poi andai in una parrocchia, non certo per una mia improvvisa crisi religiosa: andai ad ascoltare il resoconto di un 15enne, non ricordo se scout o di altro genere di gruppo catechista. Il 15enne aveva un braccio ingessato in modo inconsueto, col gomito all’altezza della spalla, e diversi lividi sul collo. Parlava, tremando, al microfono di fortuna della chiesetta, raccontando storie di cariche della polizia e manganellate feroci e ripetute, prive di senso, contro quegli spezzoni del corteo che più chiaramente erano inermi e innocui, e nei quali si trovava, appunto, il gruppo della sua parrocchia.

Lì, ascoltando quel pischello, osservando il modo in cui tremava (perché io di giovanissimi in agitazione ne ho visti la mia parte, e vi assicuro che quel modo di tremare lì era un’altra cosa e non me lo dimenticherò mai) ho davvero avuto paura e furore, perché ho capito all’improvviso cosa era successo per le strade di Genova. E ancora, naturalmente, non sapevo né della Scuola Diaz, né della caserma Bolzaneto.

Diaz, il giorno dopo