Temperature

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Mi giunge voce che in questi giorni in Italia, in località di pianura, ci sono fino a -10°C. A Toronto, per la cronaca, è tutto il mese di gennaio che non scendiamo sotto i -2° C. Questo per quegli italiani che, come torno in patria, mi dicono: “Vivi in Canada? Chissà che freddo fa!”

Con-ve-nient

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Definition of “CONVENIENT” from the Merriam-Webster Dictionary:

CONVENIENT- ADJ
1 obsolete : suitable, proper.
2a : suited to personal comfort or to easy performance <meeting at a convenient time> b : suited to a particular situation <a convenient excuse> c : affording accommodation or advantage <found it convenient to deal with both problems at the same time>.
3: being near at hand : close <a location convenient to the train station>.

 

Prima classe dell’Alitalia: promossa

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I più affezionati fra gli anellidi ricorderanno della mia disavventura massima su un aereo dell’Alitalia: morso da una zecca presa a bordo, cosa che mi ha costretto anche a fare delle analisi del sangue per escludere la possibilità di avere contratto malattie da quell’incidente. Per fortuna tutto finì bene. In seguito a quella disavventura, Alitalia mi ha consegnato una Carta Ulisse per scusarsi e tramite la Carta Ulisse ho ottenuto un paio di upgrade negli ultimi due voli fatti. L’ultimo di questi due è stato un upgrade in Prima Classe, o Magnifica, come viene chiamata dalla compagnia di bandiera.

Beh, devo dire che la Prima Classe dell’Alitalia è da promuovere a pieni voti. Perché al di là della comodità delle poltrone (diventano quasi un lettino nella loro posizione più comoda possibile) c’è da dire che il servizio di bordo è degno di un ristorante del miglior livello. Esiste un menù dal quale si può scegliere cosa mangiare e tutto ciò che ho provato era davvero ben cucinato e anche ben servito, da vassoi di metallo (silver?) portati su un carrello a rotelline, dal quale le hostess offrivano assaggi dei diversi tipi di pietanze, porti su piatti di ceramica. Ampia la scelta dei vini, tutti di nome (non l’innominato “vino rosso” della classe economica…) serviti, udite udite, in calici di vetro. Posate di metallo, tovaglioli di cotone, piumino beige al posto della copertina, cuffie hi-fi al posto degli auricolari, e una borsetta di marca in regalo (da me sciantosamente dimenticata a bordo) con dentro un paraocchi, tappi per le orecchie, un dentifricio con spazzolino, babbucce per i piedi e altre amenità che non ho nemmeno guardato. Le poltrone sono dotate di uno schermo computerizzato che, oltre ai classici servizi di bordo (cinema, news, rotta dell’aereo, ecc.) era anche dotato della vista dalla telecamera posta sul muso dell’aereo, molto divertente in fase di atterraggio e decollo.

Anche steward e hostess sono state molto gentili, fin troppo, come nel caso di un passeggero davanti a me che ha urtato malamente con il suo zaino una hostess sul petto e non si è nemmeno scusato. Ho ritenuto di scusarmi io per conto suo, visto che la signorina s’era fatta un po’ male. L’aereo era poi (finalmente!) molto pulito, sembrava nettamente uno dei nuovi velivoli della nuova Alitalia.

E’ la prima volta che posso parlare bene dell’Alitalia. Certo viene un po’ da pensare: non sarà che le differenze fra Classe Magnifica e Classe Economica sono un po’ eccessive? Alitalia non guadagnerebbe in immagine e marketing se rendesse la Magnifica un po’ meno magnifica e l’Economica un po’ meno Atroce?

L’arte e la letteratura secondo Cavazzoni

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Quante volte vi siete trovati alle prese con testi astrusi che pretendevano di dare una definizione, una formula, di cosa è l’arte o la letteratura? Cercare di rispondere a simili domande è un po’ come cercare la risposta al “chi siamo, da dove veniamo” ed è sempre più necessario che chi decide di avventurarsi su un simile terreno custodisca non solo contenuti interessanti da comunicare, ma anche una discreta capacità narrativa per farlo.

Ermanno Cavazzoni (Reggio Emilia, 1947) è uno di quegli scrittori italiani di cui si parla troppo poco. Una di quelle penne che sanno mantenere uno stile in grado di affabulare il lettore anche quando sono alle prese con un testo di saggistica.  Cavazzoni scrive e pubblica dal 1976, e dalla fine degli anni Ottanta a oggi ha sfornato diversi libri, tutti necessari e lavorati con quell’amore per le lettere che ha caratterizzato la piana di Reggio Emilia e Modena come un’area emiliana fertilissima di grandi penne (da Ariosto a Paterlini, passando per Boiardo, Tassoni, Guareschi, Delfini, D’Arzo e Tondelli, solo per citare le maggiori).

Il libro che vi consiglio oggi è dunque Il limbo delle fantasticazioni (Quodlibet, 2009, Euro 12,50, 143 pp.) e se ve ne parlo a distanza di quasi tre anni dalla sua uscita è perché è uno di quei testi senza tempo, che non ci si deve far scappare. Cavazzoni tratta di cosa è l’arte, cosa è la letteratura e cosa è la critica letteraria, ma lo fa in modo arguto e diverso dai soliti sproloqui in cui spesso si avventa la critica letteraria di basso cabotaggio: “Se potessi legiferare, decreterei che la questione dell’arte sia d’ora in poi trascurata, e che la cosiddetta letteratura coi suoi generi […] le sue figure […], con la sua organizzazione di giudici, la sua rete di promozione, le sue teorie (e la domanda tipica: che cos’è la letteratura?) decreterei che la letteratura sia un caso particolare, piccolo (anche se supponente e aggressivo), del più vasto, vastissimo e libero limbo delle fantasticazioni. Dico limbo perché, come si sa, nel limbo sostavano i non battezzati; e dico fantasticazioni per sottrarre le scritture all’apparato ministeriale della letteratura“. (26)

La letteratura come caso particolare del più vasto limbo delle fantasticazioni. La letteratura come qualcosa di molto personale, che non deve rispondere a formule, in grado di rendere emozioni universali partendo dal particolare. Cavazzoni sostiene che l’arte è sempre un tentativo di duplicazione da una soggettiva personale. E per spiegarlo fa l’esempio del pittore che va in campagna a riprodurre una particolare mattina di brina in campagna. Al termine della lunga descrizione su tutto ciò che il pittore necessita e su tutti i dubbi da superare, Cavazzoni conclude: “In verità il pittore, specie se è un pittore anonimo e ignoto, è preso di tanto in tanto dallo spavento del nulla, che tutto corra verso il nulla, lui compreso, il condominio e sua moglie compresi, ma anche purtroppo quella mattina di brina mattutina sulle colline; e lui vorrebbe porci rimedio. Questa faccenda della duplicazione nasce da qui, checché se ne dica.” (67).

E’ proprio così: l’arte nasce dalla voglia di duplicare le cose, di fermare il tempo, di lasciare una traccia, di impedire – puerilmente – che una particolare mattina di brina in campagna passi e venga dimenticata per sempre. Motivo per cui tutti i romanzi hanno un che di autobiografico: il tema scelto dall’autore, anzitutto, ma anche il modo di presentarlo, che fa leva sulla memoria o sul modo di narrare, necessariamente una prospettiva soggettiva.

Sono diversi i passi di Cavazzoni che potrebbero essi messi in cornice: io ho selezionato quella che mi è sembrata una giusta collocazione del peso da riservare alla critica letteraria: “Tutta questa concezione aveva peso sull’apparato di apprezzamento e sull’idea che ci si faceva di un’opera, alimentando la chiacchiera di accoglienza di un’opera; in parte influiva sull’autore, cioè sull’idea che l’autore aveva di sé e del suo lavoro. Ma la produzione di scritture è per fortuna anche in una certa misura indipendente dalla loro teorizzazione.” (44)

Imperdibili anche le pagine sull’intertestualità, che lascio ai lettori scoprire, mentre suonano troppo amare quelle sul mondo editoriale italiano, che a detta di Cavazzoni, “è fatto di ladri, perché ho sentito ripetutamente di gente che ha inviato il suo dattiloscritto […] e se lo è trovato di lì a poco già stampato in vendita in libreria” (69). A nome di tutti gli scriventi e gli scrittori non famosi d’Italia, speriamo che ciò che ha sentito Cavazzoni non corrisponda al vero.