I fantasmi di Marco Mancassola

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Cos’è l’impegno in letteratura? A questa domanda hanno provato a dare una risposta alcune delle penne più brillanti del Novecento italiano. A me rimane cara una delle definizioni date da Italo Calvino:  “La letteratura è come un orecchio e può ascoltare al di là di quel linguaggio che la politica intende.” E’ proprio quel che fa Non saremo confusi per sempre (Einaudi, 2011, 140 pagine, 16 euro) la nuova raccolta di racconti di Marco Mancassola, scrittore vicentino di 38 anni, età che in Italia viene oggi considerata “giovane”, ma nel resto del mondo è pur sempre “mezzo del cammin”

Tre anni fa Mancassola ci aveva ammaliato con l’ottimo romanzo La vita erotica dei superuomini (Rizzoli, 576 pagine, 21,50 euro), in cui ci aveva presentato i suoi supereroi malati di malinconia, sesso e acciacchi, in un blues postmoderno che faceva i conti con la caduta delle Torri Gemelle di New York e con i diversi modi di gestire il senso della perdita.

Quest’anno lo scrittore vicentino propone un viaggio al centro della terra italiana e delle sue carni. Cinque tragiche e famose storie di cronaca nazionale: 1978, Isola di Cavallo: un diciannovenne è colpito in mezzo al mare dallo sparo di un fucile savoiardo. 1981, Vermicino: un bimbo cade in un pozzo artesiano. 1992, Lecco: inizia il coma irreversibile di Eluana; 1996, San Giuseppe Jato: un picciriddu di 11 anni viene sciolto nell’acido dalla mafia per vendicarsi contro suo padre, pentito; 2005, Ferrara: un diciottenne muore per le percosse ricevute da un manipolo di poliziotti che gli spezzano addosso i loro manganelli.

Cinque storie di cui basta ricordare il nome geografico per collegare i punti mancanti. Cinque storie di cui ci ricordiamo fin troppo bene tutti. Una dimostrazione del potere della scrittura, di cosa succede quando la Letteratura si china sulle ginocchia e porge l’orecchio a delle semplici storie di cronaca italiana. Mancassola non ha bisogno di fare nomi di persona: anzi, si cura di ometterli, tranne nel caso dell’ultimo racconto, dove c’è un “Federico” che però appare in citazione altrui.

I fatti di cronaca nera da cui l’autore prende spunto per evadere nel campo della finzione narrativa hanno marchiato in modo così profondo le carni di questo povero Belpaese che ogni lettore sa identificare nomi, circostanze, eventi, memorie, fatti. Ed è bravo Mancassola a prenderti delicatamente per mano e portarti all’interno di questo viaggio nelle pieghe sensibili di queste vite giovani spezzate, di questi fatti che hanno in comune, tutti, l’incontro con la morte, il sapore di ferro della perdita di chi amiamo e l’emergere dei nostri fantasmi, veri o metaforici, in un’ultima partita a scacchi in cui, alla fine, vince solo la Letteratura.

Lettura consigliata, **** su 5. Ma vivamente sconsigliata a chi ha apprezzato il non-libro di Veltroni, che affronta lo stesso tema di Vermicino. Potere degli anniversari tondi tondi e del marketing editoriale. Veltroni, tragicamente, non è stato nemmeno l’unico a essere uscito con un libro su Alfredino Rampi nel 2011.

Era un agosto buio e tempestoso…

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…però pare che almeno una cosa stia andando, lentamente, in porto. Per scaramanzia, non dico niente di più. Ora però bisogna badare che non crolli il resto dell’universo. Questo è un lavoro per Superman!, disse, si svestì e prese il volo. (E tutti guardarono verso il cielo, poiché aveva dimenticato la calzamaglia blu e rossa a casa).

Da “Le idi di Marzo”, romanzo di Thornton Wilder

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Giulio Cesare ha tenuto in testa per tutto il giorno un pasticcio color viola, suggeritogli da Cleopatra. Siccome è un dittatore, nessuno ha avuto il coraggio di chiedergli cosa cavolo fosse quell’affare viola sopra la sua capoccia. Poi però succede che entra nella sala imperiale una donna delle pulizie:

Per ultimo una donna delle pulizie entrò nella mia sala per lavare i pavimenti. Mi guardo e lei subito disse: “Oh, divino Cesare, che avete fatto alla vostra nobile testa?”

“Piccola madre”, le ho risposto, “la più grande donna del mondo, la più bella donna del mondo, la più saggia donna del mondo mi ha detto che la calvizie si cura strofinando la testa con un composto di miele, mirtilli e cera. Mi ha ordinato di applicarne degli impacchi e io la obbedisco in tutto.”

“Divino Cesare”, ha risposto la donna, “I non sono né grande, né bella o saggia, ma una cosa la so: un uomo può avere cervello o può avere capelli, ma non può avere le due cose insieme. Voi siete bello abbastanza così come siete, signore, e poiché gli Dei Immortali vi hanno donato il buon senso, credo che non volessero anche darvi i riccioli.”

Sto pensando di farla senatrice.

Bossi s’è rotto un gomito

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Niente gesti dell’ombrello per un mese. La retorica del leader leghista ne esce dimezzata. Pare pure che per mostrare il dito medio adesso dovranno aiutarlo. Oddio, non che prima non avesse bisogno d’aiuto. E poi, trattandosi di legaioli, per capire quale sia il dito medio ne occorreranno almeno una dozzina. Ecco perché girano sempre in mandrie, attorno al grande capo Dito Medio Alzato.