Buon 28 giugno da New York

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Il “da” del titolo è un complemento d’agente, non di stato in luogo. Infatti, io non mi trovo a New York mentre la Grande Mela quest’anno ha approvato il diritto al matrimonio per tutti con uno storico voto al Parlamento del suo Stato (33 a 29) che ha segnato, ancora una volta, la via.

Quattro decenni dopo la Rivolta di Stonewall, la capitale morale degli Stati Uniti d’America si pone ancora alla testa di un movimento per i diritti civili che si è messo in moto da queste parti e che, ultimamente, ha prodotto risultati concreti un po’ in tutto l’Occidente, a cominciare dal mio Canada, per poi estendersi all’Europa (quella vera, non quella di stampo mediorientale), al Sud America, alla Repubblica Sudafricana, all’Australia.

Obama, il primo presidente nero alla Casa Bianca, non aveva la possibilità di agire direttamente nelle scelte degli Stati su come regolano le licenze matrimoniali. Eppure ha fatto il possibile con le sue parole per creare il clima più favorevole possibile a che quegli eletti Repubblicani di buon senso potessero votare contro il proprio partito per sancire la fine di una discriminazione ridicola come già lo fu quella contro il matrimonio interrazziale. Tra questi, il senatore Repubblicano di origine italo-americana, Grisanti, che era stato eletto promettendo di opporsi al matrimonio per tutti. Ha votato invece sì e ha così spiegato la sua decisione: “Chiedo scusa a chi si sente offeso, ma non posso negare a una persona, a un essere umano, a un contribuente, a un lavoratore, alla gente del mio Stato, di avere gli stessi diritti che io ho con mia moglie”. E allora ricordiamole, queste parole di Obama che hanno scavato anche nella coscienza del senatore Grisanti: “Siamo stati creati uguali. Ho sempre pensato, come mi hanno insegnato mia madre e i miei nonni, che la discriminazione fosse sbagliata. È così che la penso fin da piccolo. Ho sempre creduto che la discriminazione in base all’orientamento sessuale o all’identità sessuale sia una violazione dei principi su cui questa nazione è fondata. Le coppie gay devono avere gli stessi diritti di tutte le altre”.

A meno di cataclismi naturali o umani, il progresso sui diritti civili procede, lento ma inarrestabile. L’Italia, che ha una tradizione di conservatorismo idiota, seguirà il resto dell’Europa e dell’Occidente e del Secondo e Terzo mondo, con il suo abissale ritardo. Ricordatevi sempre che il divorzio fu approvato nel 1789 in Francia e nel 1974 in Italia, eppure ci diciamo “cugini” dello Stato transalpino. Qualcuno dà la colpa alla presenza della Chiesa cattolica a Roma: vero, hanno una responsabilità notevole. Ma il vero problema è la mentalità media dell’italiano medio – che sia uomo della strada o parlamentare non ha importanza – abituato a non far scelte o a farle seguendo il noto do ut des con la Chiesa. Eppure, fra 20 anni, o forse fra 50 anni, o forse fra 100 anni, anche il Parlamento di Roma capitolerà. Perché la forza del concetto di Obama, “siamo stati creati tutti uguali” davanti alla Legge, è troppo semplice da comprendere, è troppo difficile da arrestare.

Buon 28 giugno da New York, dunque.

Che bella giornata, una recensione (in ritardo)

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In questi giorni italiani ho potuto finalmente vedere il film campione d’incassi di tutti i tempi al botteghino nazionale, vale a dire la commedia di Gennaro Nunziante e Luca Medici in arte Checco Zalone Che bella giornata. Devo dire: giù il cappello. Zalone tomo tomo cacchio cacchio inventa una nuova maschera della comicità tricolore, quella dell’impiastro privo di talenti ma ricco di relazioni familiari assai potenti a livello locale. Un incrocio fra Clouseau e Mr. Bean, ma più inconsapevole e più pieno di risorse di tutti e due. E’ la figura dell’italiano medio, o almeno di quel tipo di italiano medio da cui tutti gli italiani per bene cercano disperatamente di distanziarsi, ma diciamoci la verità: se siete rimasti a vivere in Italia c’è per forza un (bel) po’ di checcozalone in ciascuno di voi.

La chiave del film, che è pensato per far ridere e rilassare, e ci riesce alla grande, è nel dialogo in cui Checco spiega a Farah:

“Cosa fai tu qui, studi?”

Farah: “Sì”

Checco: “Ecco, in questo Paese non serve a un cazzo.”

O anche nelle varie battute in cui un membro della temibile famiglia Capobianco – un vero e proprio branco di uomini e donne insinuatisi nei gangli delle amministrazioni civili e militari del tessuto statale italiano – viene fuori per risolvere ogni problema, appianare ogni regolamento, bypassare qualunque legge. Ridendo e scherzando, Checco fa dunque un film sulla pura e semplice mancanza di senso civico e rispetto delle leggi che caratterizza l’italiano medio e ci infila dentro anche un po’ di ironia sui rapporti inter-razziali e sul razzismo in generale, come quando Checco insiste presso lo zio carabiniere perché convinca il parroco di Alberobello (con la minaccia di non togliere le multe a un di lui nipote) a far fare da madrina per un battesimo a Farah, “madre bina” di religione “muso ulmana” – da qui l’opposizione del prete cattolico – e suggerisce al “potente” zio al telefono la possibile motivazione:

“Forse perché è negra.”

Papà di Checco, intervenendo nel dialogo da esterno: “Ma appena appena.”

Checco: “Infatti, un niente, cioè, non dà fastidio, zio.”

Se non sbaglio questo film ha incassato 43 milioni di euro, e a occhio e croce, deve essere costato meno di 1,5. Bisogna dire che questa volta il successo di pubblico è sacrosanto, perché Checco Zalone ha proprio creato un modo nuovo di fare commedia, a metà fra il demenziale e l’ironico, il basso e l’alto, arrivando così a un genere medio che in realtà nasconde un profilo molto dotto, di chi sa che per essere leggeri è necessario scherzare col fuoco e in modo assai attento a ciò che si dice e a come lo si dice. Zalone, tramite una comicità di sottointesi, di gesti prima ancora che di parole, riesce a rivolgersi e a far ridere tutti: dal pubblico più superficiale e distratto ai critici più accigliati e la sua forza è quella di avere creato una nuova icona pop nel personaggio di se stesso artista, del quale non a caso non ha nemmeno cambiato il nome e cognome.

Verrai a trovarmi d’inverno, una recensione

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Proprio un bel romanzo. Sul senso dell’essere, sul senso dell’amare, sul senso del saper ascoltare i sentimenti degli altri e sulla ricerca della propria identità. Un’identità fluida, che non si presta a essere immortalata a colpi di scalpello, ma semmai a essere dipinta da un pennello di quelli lunghi e fini, a piccoli e misurati colpetti dati nel punto giusto e al momento giusto.

Alicata sa costruire una trama avvolgente – di cui volutamente non vi racconto nulla: sarà un piacere per voi scoprirla – con dei personaggi molto sfaccettati e credibili, e tuttavia molto, molto veri e originali. L’aspetto che più mi è piaciuto è la ricerca narrativa dietro ogni professione, dietro ogni aspetto di ciascun personaggio, nonché l’ambientazione e le descrizioni, i frammenti narrativi che intervallano in modo calibrato i dialoghi. Non capita spesso di leggere un romanzo di una penna italiana contemporanea che sappia bilanciare così bene la compresenza di dialoghi e di narrazione. Alicata ci riesce, e così facendo stabilisce un ponte comunicativo e filosofico col lettore, che è davvero un piacere percorrere e ripercorrere.

L’unico appunto: sarà che ho letto soprattutto sugli autobus, ma forse nel romanzo intervengono un po’ troppi personaggi. Un elenco dei personaggi e delle comparse, in apertura, a mo’ di commedia, sarebbe stato d’aiuto perché ogni tanto son dovuto tornare indietro a capire chi era chi. Però ammetto che con una lettura meno discontinua e tranquilla il problema non si sarebbe posto.

Bellissima la copertina, davvero complimenti. Ho le mie riserve sui tempi di risposta della Hacca, che nel mio caso hanno superato i tre anni, però almeno sanno scegliere bene i libri e sanno fare delle splendide copertine, è giusto riconoscerlo.

Golden – Chrisette Michele

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testo di una canzone che mi piace tanto.

Take me back in the day when loving was pure Love ain’t going away, love is always secure Life’s not always perfect but love’s always forever Lets let true love connect lets try lasting together I’m so ready to love, I’m so ready to promise my all I’m so ready to give til’ the day that my life is no more I’ll be everything that this woman could possibly be Cause I’m ready to be like the olden days when commitment was golden Be the man of my dreams and get down on one knee, Love Say you’ll be all I need and then ask me to marry you, my love Lets take two golden bands and lets walk down the isle, Love I’ll say I do and you’ll say I do, make a golden commitment, oh I’m so ready to love, I’m so ready to promise my whole And I’m so ready to give till the day that my life is no more I’ll be everything that this woman could possibly be, yes I will Cause I’m ready to be like the olden days when commitment was golden Find More lyrics at http://www.sweetslyrics.com Let’s last forever (let’s last forever) No typical american shady love Let’s stay together (let’s stay together) Pray God smile upon ours everlasting love I’m so ready to love, I’m so ready to promise my whole And I’m so ready to give till the day that my life is no more I’ll be everything that this woman could possibly be, yes I will Cause I’m ready to be like the olden days when commitment was golden I’m so ready to love, I’m so ready to promise my whole And I’m so ready to give till the day that my life is no more I’ll be everything that this woman could possibly be Cause I’m ready to be like the olden days when commitment was golden Golden Golden oh oh my Golden Golden love Cause commitment is golden Mmm mmm

AdF chiude per ferie

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Cari anellidi, non credo ci sia mai stato un periodo della mia vita in cui avessi più bisogno di staccare la spina. E la cosa vale anche per questo blog. Nelle prossime settimane non lo aggiornerò, del resto vi eravate già accorti che lo aggiornavo poco ultimamente. Non so se la chiusura di AdF sarà temporanea o permanente, al momento sono davvero poche le cose che ho chiare in testa. Quindi, se pausa sarà, che pausa sia. Buona estate a tutt*.

Per rispondere a Severgnini

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Non sono mai stato un gran fan dei Duran Duran, lo ammetto. Negli anni Ottanta ascoltavo quasi solo cantautori italiani, spaziando da Guccini e Battiato a Ron e Dalla, con incursioni Vendittiane. All’epoca non gradivo nemmeno Jovanotti, che ancora non si chiamava Lorenzo, e urlettava di volere la sua moto. Quando si trattava di musica straniera, per me c’erano poche e selezionatissime canzoni degli U2, degli Wham!, di Elton John, di Sting, dei Police, dei REM, degli Smashing Pumpkins, di Rick Astley, dei Supertramp. La passione per gli Smiths (e poi Morrissey), i Cure, i Depeche Mode, i Simple Minds, i Soft Cell (e poi Marc Almond), i Talking Heads, i Culture Club, i Bronsky Beat, i Communards (e poi Jimmy Somerville) sarebbe venuta più avanti, passato il 1992-93. Però la competizione fra Duran Duran e Spandau Ballet me la ricordo bene, e tra l’altro apprezzavo di più gli Spandau, se vogliamo dircela tutta. Era, in sessantaquattresimo, la ripetizione della competizione fra Beatles e Rolling Stones, vent’anni dopo. Tuttavia la tesi di Severgnini è irricevibile, e suona di conservatorismo provincialotto lontano un miglio. Per cui, per una volta, Save a Prayer.

Offerte librarie

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Se vi può interessare, Amazon.it mette in vendita il mio ultimo romanzo con uno sconto del 35%. Quindi lo paghereste 11 euro e qualcosa al posto di 17,50.

Ricordo anche che sul mio sito trovate in vendita la raccolta Mondadori con il mio racconto d’esordio “A Family”.

E chi vuole un regalino estivo per pdf, mi scriva (scrivimi at sciltiangastaldi punto com) che glielo mando.