I libri letti quest’anno: i due peggiori

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Fra i 63 libri letti quest’anno, sono inciampato in testi davvero pessimi. Ce ne sono quattro che mi sono rimasti particolarmente sul gozzo, e sono tutti saggi da una stella su cinque. Due sono poi dello stesso autore, uno storico canadese che brilla per partigianeria, omissioni e incompletezza. Sono libri talmente parziali e mal scritti che in confronto il primo romanzo più brutto è quasi un capolavoro.

La palma del peggior libro del 2014 è vinta senza dubbio alcuno da The Pope’s Legion. The Multinational Fighting Force that Defended the Vatican, di Charles A. Coulombe, che diversi colleghi definiscono come “a Fascist book”. Ecco come ho recensito il testo su Anobii:

Pochissime le note, in questo libro che si apre con il motto che gli zuavi stessi appuntavano sulle loro memorie. Un libro chiaramente a tema, con l’intento di far apparire i politici savoiardi, i garibaldini e i bersaglieri del Regno di Sardegna al pari di “empie canaglie” per citare la definizione di uno zuavo dell’epoca. La cosa buffa è che l’autore di questo testo è uno statunitense, per giunta di quelli alquanto digiuni di storia europea.

Se l’intera vicenda degli zuavi è presentata in chiave apologetica, romantica e idealista, sono particolarmente esilaranti alcune affermazioni su ciò che sarebbe stato della Spagna se per caso avesse vinto la Repubblica contro i franchisti, o sulla supposta fragilità delle fondamenta dello Stato italiano d’oggi, a cominciare dal referendum monarchia/repubblica. Per Coulombe ogni volta che c’è un plebiscito o un referendum popolare a confermare lo sfavore popolare nei confronti del papa-re o, più tardi, della monarchia stessa, i numeri non contano a causa dei brogli. Brogli che vengono dati di volta in volta per assolutamente certi e scontati, ma senza uno sbrenzolo di nota che indichi quali studi sostengono la teoria dei brogli, e entro quale eventuale misura.

Manca completamente l’analisi dei valori e dei principi per i quali gli zuavi e la Chiesa cattolica quebecchese si battevano e quindi il libro risulta a senso unico, come se fosse stato scritto da uno storico neo-nazista che intendesse esaltare le gesta militari della Lutwaffe e delle SS tedesche, senza mai chiedersi chi rappresentasse cosa.

Alquanto misero e patetico il tentativo di sminuire la figura di Garibaldi, che probabilmente fu chiamato “eroe dei due mondi” per una banale coincidenza, secondo Coulombe. Il Garibaldi qui tratteggiato è in buona sostanza uno sfigato, un senza-dio, una marionetta in mani altrui, con buona pace del suo reale spessore intellettuale, ma soprattutto dell’entità dei suoi successi militari. Tutte cose che si possono ignorare, secondo Coulombe.

Fra i testi di narrativa, arriva ultimo per il 2014 (comunque con 2 ricche stelle su 5) A cercar la rossa primavera, di Davide Lajolo. Ecco come ne ho parlato su Anobii:

Libro dal sicuro valore storico: scritto di getto al termine della guerra civile da parte di un ufficiale dell’esercito che sceglie di diventare partigiano, in Piemonte. E però, con immani limiti letterari, tali da farne una testimonianza, un ricordo, un diario, ma non certo un romanzo. I personaggi non sono nemmeno abbozzati: solo una serie di nomi e soprannomi cui non sono attribuite caratteristiche, tranne qualche rara eccezione di breve descrizione fisica. Maggiore attenzione è data alla descrizione delle azioni di guerriglia, alle reazioni dei civili e al confronto fra partigiani e repubblichini. Anche se da un punto di vista letterario questo è un non-romanzo, dal punto di vista storico è un testo fondamentale per capire il caos che regnò in Italia dopo il 25 luglio e l’umore del popolo e dei soldati davanti alla prospettiva di una guerra civile che diventava reale giorno dopo giorno.

I libri letti quest’anno: i due migliori

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Mi ero ripromesso di leggere un libro in più dell’anno scorso, quest’anno. Obiettivo raggiunto e superato:

Screen Shot 2014-12-30 at 6.00.36 PMIl miglior saggio letto nel 2014 penso sia Les Zouaves di René Hardy. E’ un volume di storia scritto da un professore quebecchese, che riassume le caratteristiche degli Zuavi canadesi al tempo di Pio IX. Ecco come ne ho parlato su Anobii:

Il passaggio più significativo di questo capolavoro di René Hardy è probabilmente questo:

“Les zouaves pontificaux étaient ainsi investis d’une mission religieuse et nationale. Au cours de leurs deux années à Rome, leur correspondance rappela fréquemment cet aspect de leur oeuvre, et les autorités religieuses firent tout leur possible pour que la célébration de la fete de la Saint-Jean-Baptiste apparaisse comme le symbole de cette union entre le national et le religieux” (224).

L’autore, storico cattolico quebecchese, racconta il fenomeno con piglio obiettivo e grande autorità. Se trapela un velo di favore per gli zuavi canadesi (che Hardy si piega a chiamare appunto “canadesi” ma vorrebbe in realtà individuare come “quebecchesi”) Hardy non perde mai la bussola del ricercatore storico, mettendo in risalto diversi aspetti – sia negativi che positivi – del fenomeno. Molto importante, a mio modo di vedere, che Hardy sottolinei come l’organizzazione degli zuavi canadesi sia stato sin dall’inizio uno strumento nelle mani della Chiesa cattolica quebecchese da utilizzare in senso nazionalistico e religioso, approfittando del facile indottrinamento che il vescovo di Montreal poteva esercitare sulle menti di questi giovanissimi volontari. Roma fu dipinta al pari di un paradiso in terra, l’intera missione come un momento di crescita religiosa e culturale, oltre che un servizio al Santo Padre. Molti parlarono di “nona crociata” per andare a difendere lo Stato pontificio dagli “empi piemontesi”. Buffo che fra quegli ultra-montani quebecchesi che appoggiarono anima e core la missione degli zuavi, si celavano poi così tanti convinti assertori del principio di autodeterminazione dei popoli, a partire certo da quello quebecchese, ma non certo di quello romano e laziale.

Meritano una menzione a cinque stelle, fra i saggi, anche: Ending Terrorism, di Anna Cento-Bull e Philip Cooke; Colpo alla nuca, di Sergio Lenci; Come mi batte forte il tuo cuore, di Benedetta Tobagi.

Fra i libri di narrativa, in generale di livello inferiore rispetto alla saggistica quest’anno, credo che la palma del vincitore vada a Il desiderio di essere come tutti, di Francesco Piccolo. Ecco come ne ho parlato su Anobii:

Non avevo letto nulla di Piccolo prima d’ora. Con questa auto-fiction Piccolo narra la storia della sua personale e graduale discesa, dalla ricerca della purezza all’accettazione di una certa impurità. Divide i suoi 50 anni in due figure chiave: Berlinguer e Berlusconi. Con questa accortezza, racconta 40 anni di vita italiana attraverso alcuni momenti topici. Intrecciati dal come lui, Francesco Piccolo, interagì con la Storia che bussava alla porta.

La parte che mi ha convinto di più sono le ultime pagine della seconda. Lì dove Piccolo ammette, spero in modo genuino, di non essere all’altezza di un certo tipo di élite culturale e non solo culturale. Riconosce di non avere il talento, o la stoffa, o l’acume dell’intellettuale serio e dotto, automaticamente di sinistra e purissimo. Riconosce un suo personale adagiarsi verso una forma di pigrizia, di grossolanità. In questa ammissione sta, a mio modo di vedere, il punto di rimbalzo di questo libro e del suo stesso autore. Il momento in cui Piccolo, fin qui scrittore low profile, compie il cambio di passo e fa scorgere, al contrario, un certo spessore non comune, quasi una filosofia minore.

E’ in quelle pagine che questo libro è passato da 4 stelle a 5.

In un prossimo post vi dirò quali sono stati i due libri peggiori letti quest’anno.

Tutto quello che avete sempre desiderato sapere sull’opera di Marco Mancassola e che non avete mai avuto il coraggio di chiedere

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mancassolaItalica, la prestigiosa rivista accademica della AATI, ha pubblicato il mio articolo sull’opera di Marco Mancassola dopo nemmeno 5 anni di attesa. Per chi di voi è sopravvissuto a fatica senza poter leggere questo articolo, da oggi, mai più senza.

L’inizio di “Anelli di fumo”, il romanzo

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A grande richiesta, pubblico il capitolo iniziale del mio ultimo romanzo, che prende il nome da questo stesso blog. Vi ricordo che “Anelli di fumo” esce in libreria il 10 dicembre, ma potete già trovarlo come E-book qui, e se preferite le copie cartacee, potete ordinarle qui.

Zero.

 

 

Uno per tre e tre per uno perché 
 insieme noi usciamo sempre dai guai 
 e difendiam la Terra dall’ombra della guerra 
 il nostro cuore batterà per la libertà 
 intrighi e loschi piani dei mostri disumani 
 il nostro raggio spazzerà nell’immensità 
 Daitarn, Daitarn 
 arriva già il nemico, scatta 
 ma tu ci sei amico, Daitarn 
 evviva Daitarn III…

Sigla di Daitarn III

 

 

 

La tua generazione è quella nata con due canali Rai. Quella cresciuta con i primi cartoni giapponesi trasmessi in Italia: Capitan Harlock, Goldrake, Heidi, Lady Oscar, Daitarn III e Candy Candy. Quella dei primi telefilm americani: Furia, Arnold, Happy Days, Spazio 1999, Sandokan e Mork & Mindy, di cui canticchia ancora il ritornello. Voi, nati nei primi anni Settanta, avete imparato a leggere sui Barbapapà e a colorare su Miao. Al cinema vi siete fatti rapire da La Carica dei 101 ed E.T., di cui avete atteso per anni un seguito che non c’è mai stato. La tua generazione è stata mandata in tutta fretta a casa da scuola quel mattino di marzo del 1978, pochi minuti dopo che il Tg2 in edizione straordinaria aveva dato notizia “del rapimento del Presidente Moro a opera delle Brigate Rosse”. La tua generazione è stata l’ultima davvero comunista, quella di Enrico, e ha ancora negli occhi quel comizio a Padova. La tua generazione è nata calcisticamente al Santiago Bernabeu di Madrid, in una giornata del luglio 1982, cullata dalla voce pastosa di Nando Martellini: Zoff Gentile Cabrini, Oriali Collovati  Scirea, Conti Tardelli Rossi, Antognoni Graziani. Allenatore: Bearzot. Siete stati gli ultimi ad aver giocato con le biglie sulla spiaggia e a campana col gesso in cortile. Ma siete stati i primi ad aver respinto, aggrappati a un joystick in piedi su una sedia da bar, l’invasione degli Space Invaders. La tua generazione è caduta in un pozzo artesiano di Vermicino e non ne è mai più uscita. Ricordate i salti di Sara Simeoni per l’oro olimpico e perfino quelli di Nino Castelnuovo per l’olio Cuore. Siete capitati dentro alla rivoluzione sessuale e siete scampati per un pelo – chi più, chi meno – al teschio dell’Aids. Qualcuno di voi appare in una foto a cavalcioni del Muro di Berlino, e ne custodisce un frammento su una mensola di casa. La tua generazione non ha fatto la Resistenza, ma la Resistenza Umana di Cuore sì. Eravate adolescenti durante gli anni di Tangentopoli; all’epoca eravate convinti che il futuro fosse illuminato di progresso e il passato non potesse tornare. Seduti sul tappeto davanti alla tv, avete assistito al tramonto del socialismo, sia reale che rampante. Avete visto la fine della storia e l’inizio delle storie di guerra. La tua generazione è l’ultima della Dc e la prima che, forse, non morirà democristiana. Avete pianto e marciato a Palermo, in quell’orribile estate del 1992. Avete riso della “Padania” e avete odiato un Cavaliere in doppiopetto. Siete stati i primi a visitare l’Europa con l’interrail e poi a cavallo della Ryan Air. Siete stati gli ultimi a telefonare con i gettoni dalle cabine della Sip. Avete vissuto metà vita senza cellulari, smartphone e tablet e ora non sapete farne a meno. Siete quelli di internet e del free wi-fi, ma quando andate a un concerto rock preferite ancora far ondeggiare la fiamma dell’accendino, che non brillare lo schermo del telefonino. Vi siete persi di poco l’allunaggio, ma ricordate bene l’esplosione a “Y” dello Space Shuttle. La tua generazione è quella delle lire con l’inflazione e poi dell’euro in deflazione. Avete pianto la morte di Fabrizio De Andrè, Lucio Battisti, Giorgio Gaber, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Mordecai Richler, Carmelo Bene, Pierangelo Bertoli, Walter Matthau, Jack Lemmon, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Mia Martini, Giuni Russo, Arthur Miller, Enzo Jannacci, Lucio Dalla, Robin Williams. Una generazione sopravvissuta alla scomparsa dei maestri, e che ora non ha più modelli da ascoltare, da leggere, da imitare. Siete i primi a dover campare senza il posto di lavoro sicuro. Una classe di operatori di call center laureati, ultra specializzati e facilissimi da licenziare. Siete quelli emigrati a Londra, a Toronto o in Australia, a cercare la vostra America. Siete passati nel tritacarne della mobilità, della globalizzazione, della delocalizzazione, dei co.co.co, dei co.co.pro. Avete buttato i vostri migliori anni in stage gratuiti, contratti a progetto, a termine, di job-sharing, e intanto siete i primi a non far figli prima dei trentacinque. La tua generazione sarà la prima senza la pensione e tutto sommato è una fortuna: non avete ancora versato un contributo. La tua generazione è quella dell’11 settembre, e sta ancora precipitando dalle Torri. La tua generazione è la prima che vivrà almeno cent’anni e si sforza di non pensarci. La tua generazione ha visto tutto. Ma non ne ha ancora abbastanza.

Repubblica, il sindaco Marino e il giornalismo fazioso. Una lettera aperta.

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Una lettera aperta contro il giornalismo fazioso di Repubblica nei confronti del Sindaco di Roma, Ignazio Marino. Condivido, in tutti i sensi.

un filo rosso

Cara Repubblica,

mi permetto di qualificarmi come tuo fedelissimo, avendo cominciato a leggerti ancor prima che uscissi in edicola. Esatto, hai letto bene: “prima”, e quando vorrai sarò lieto di spiegarti come e perché.
Ma non ti scrivo per questo. Oggi voglio manifestarti la mia profonda e amara delusione per la campagna che stai conducendo da qualche tempo e che stride con lo stile che ti contraddistingue da sempre: non mi riferisco alla critica – ci mancherebbe – ma all’approccio bilioso e immotivato con cui viene condotta.
Sto parlando delle notizie che riguardano il sindaco Marino e la sua giunta.

Sono mesi che alcune firme dell’edizione romana si cimentano in quella che ormai pare una gara a chi ne dice peggio: la giunta è a rischio praticamente ogni giorno, Marino appare come un incapace, il partito che dovrebbe appoggiarlo non vede l’ora di liberarsene, i romani non lo sopportano. Il…

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