
Altra bella copertina e progetto grafico di Maurizio Ceccato, che però a ‘sto giro sbaglia la costina: titolo pressoché illeggibile, che si mimetizza nella libreria.
Se ve lo siete perso sul blog de Il Fatto Quotidiano (dove commenta anche un campione di profondi bisognosi di terapia) ecco a voi la mia nuova recensione a un bel romanzo uscito da poco.
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A cosa serve la Letteratura? Mi viene alla mente una risposta famosa di Sartre: “Il mondo può benissimo fare a meno della letteratura. Ma ancora di più può fare a meno dell’Uomo.” Io volo più basso di Sartre, e ho bisogno di molte più parole.
“Tu rimpiangi di non aver vissuto in tempo di guerra.” Davanti al mio silenzio avevi aggiunto una cosa lapidaria: “Avresti voluto vivere in un tempo in cui non si può scegliere e c’è una sola cosa da fare. E non riesci a dare ascolto alla banalità della vita. Non posso raccontarti cosa ho visto al bar questa mattina perché non lo consideri importante. Magari per me lo era, ma a te sembra che non te ne freghi nulla. – “Sono il salvadanaio dei tuoi pensieri”, ti avevo detto. “Tu non lo sai, ma io li conservo tutti. Qui”. E avevo indicato la fronta e tu avevi scosso la testa e sorriso vittoriosa. – “E’ il luogo sbagliato, infatti”, avevi detto […]. (p. 148).
Questo è uno dei passi che ho trovato più toccanti del nuovo romanzo di Cristiana Alicata, Ho dormito con te tutta la notte (Hacca Edizioni, 2014, 14 euro per 204 pagine). Come recensore, fa piacere, ogni tanto, poter dire “l’avevo detto io”: quando, tre anni fa, avevo segnalato ai lettori l’alba di una scrittrice per il romanzo Verrai a trovarmi d’inverno, non mi ero sbagliato.
In questo nuovo lavoro – il terzo romanzo di Alicata – l’autrice sceglie la strada della letteratura introspettiva e crepuscolare. E’ la storia di una famiglia. Una famiglia che, al pari di tutte le famiglie che conosco, ha al suo interno problemi. Di comunicazione, di malattia, di infelicità, di incomprensione. Ma allo stesso tempo, al pari di tutte le famiglie che conosco, custodisce dentro di sé anche formidabili risorse: d’amore, di ricerca della propria felicità, di rispetto reciproco, d’altruismo. Il romanzo è raccontato in prima persona da una protagonista di cui non sapremo mai il nome. E’ una bambina nata alla metà degli anni Settanta, che racconta il suo percorso di formazione attraverso poche ma capitali figure: due amiche del cuore, i genitori, un nonno. Le amiche, Lucia e Sabrina, incrociano e incidono la sua esistenza e fanno un po’ da contraltare fantastico e sentimentale, quasi un’Alice attraverso lo specchio, alla realtà della famiglia. La famiglia, entità che nella cultura italiana è una monade da cui spesso tutto parte e in cui spesso tutto finisce, è composta da un fratello minore, una madre schizofrenica e un padre che tenta di tenere incollati i pezzi di un focolare spezzato dalla malattia.
La protagonista di Ho dormito con te tutta la notte decide a un certo punto di salpare da quel porto infetto che è la sua famiglia. E si mette a cercare, in un’odissea dei sentimenti e della psiche. Cosa cerca? Cerca la propria capacità d’amare. Di fermarsi in un punto. Di apprezzare il panorama. Di percepire e apprezzare l’odore: “Mi ha sempre stupito l’odore che hanno le famiglie. E’ l’odore della convivenza che le case trattengono, anche dopo la diaspora, lo restituiscono agli estranei in visita, lo conservano per chi torna. La casa dei tuoi possedeva quell’odore, per esempio. Un odore che mischia la polvere dei modellini di aeroplani di tuo padre e i suoi manifesti dell’URSS, al modo di cucinare di tua madre e ai suoi libri di letteratura inglese. Tu te lo porti addosso.” (p. 173) Cerca la possibilità di voltarsi verso il volto della donna amata e di sentirsi ordinare, in un imperativo d’amore: “Fermati. Fermati qui.”
Fra gli elementi che si apprezzano di più di questo romanzo importante, c’è che il contesto saffico è raccontato con naturalezza, senza clamore. Alicata racconta un pezzetto di cosa può essere l’amore. Senza aggettivi, senza scandali. Niente di più naturale.
C’è una teoria un po’ bacchettona della critica letteraria e cinematografica che sostiene che il critico, per poter dare un giudizio obiettivo, deve restare del tutto distaccato dall’opera che recensisce. Non ho mai pensato che quella teoria avesse un gran valore. Ora, dopo essere arrivato alle lacrime all’ultima pagina di Ho dormito con te tutta la notte, sono sicuro di due cose: Cristiana Alicata è una grande scrittrice del nostro tempo. E io ho bisogno di compiere delle scelte. Ecco a cosa può servire la letteratura.
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Pochissime le note, in questo libro che si apre con il motto che gli zuavi stessi appuntavano sulle loro memorie. Un libro chiaramente a tema, con l’intento di far apparire i politici savoiardi, i garibaldini e i bersaglieri del Regno di Sardegna al pari di “empie canaglie” per citare la definizione di uno zuavo dell’epoca. La cosa buffa è che l’autore di questo testo è uno statunitense, per giunta di quelli alquanto digiuni di storia europea.
Se l’intera vicenda degli zuavi è presentata in chiave apologetica, romantica e idealista, sono particolarmente esilaranti alcune affermazioni su ciò che sarebbe stato della Spagna se per caso avesse vinto la Repubblica contro i franchisti, o sulla supposta fragilità delle fondamenta dello Stato italiano d’oggi, a cominciare dal referendum monarchia/repubblica. Per Coulombe ogni volta che c’è un plebiscito o un referendum popolare a confermare lo sfavore popolare nei confronti del papa-re o, più tardi, della monarchia stessa, i numeri non contano a causa dei brogli. Brogli che vengono dati di volta in volta per assolutamente certi e scontati, ma senza uno sbrenzolo di nota che indichi quali studi sostengono la teoria dei brogli, e entro quale eventuale misura.
Manca completamente l’analisi dei valori e dei principi per i quali gli zuavi e la Chiesa cattolica quebecchese si battevano e quindi il libro risulta a senso unico, come se fosse stato scritto da uno storico neo-nazista che intendesse esaltare le gesta militari della Lutwaffe e delle SS tedesche, senza mai chiedersi chi rappresentasse cosa.
Alquanto misero e patetico il tentativo di sminuire la figura di Garibaldi, che probabilmente fu chiamato “eroe dei due mondi” per una banale coincidenza, secondo Coulombe. Il Garibaldi qui tratteggiato è in buona sostanza uno sfigato, un senza-dio, una marionetta in mani altrui, con buona pace del suo reale spessore intellettuale, ma soprattutto dell’entità dei suoi successi militari. Tutte cose che si possono ignorare, secondo Coulombe.