Sul togliere la tassa sulla prima casa

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indexBene, ho letto un po’ di opinioni sull’opportunità, la giustizia del detassare la prima casa e posso confermare la mia opinione: non mi sembra giusto. La prima casa è tassata ovunque in Occidente, chi possiede la prima casa è mediamente più benestante di chi non la possiede, e questa detassazione favorirà, inevitabilmente, chi è più benestante.

Ero contrario quando propose la cosa Berlusconi, rimango contrario oggi che la propone Renzi. Capisco che in un Paese dove oltre l’85% dei cittadini è proprietario di casa, la manovra sarà popolare, ma io avrei abbassato o abrogato altre tasse, non questa.

Se Forza Italia passa dal Family Day al Gay Pride

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«Francesca Pascale e Vittorio Feltri annunciano la loro iscrizione all’Arcigay poiché ne condividono le battaglie in favore dell’estensione massima dei diritti civili e della libertà». Questo il comunicato stampa rilasciato alle agenzie da parte della compagna dell’ex Presidente del Consiglio Berlusconi, e di uno dei suoi più importanti intellettuali d’area. Un comunicato che, giustamente, Il Giornale descrive come “dal tono vagamente da annuncio matrimoniale”, e per una volta la definizione scuce un sorriso.

Il resto, lo trovate sul blog de Il Fatto Quotidiano. Dove spiego anche perché, secondo me, ElfoBruno sbaglia nel suo settarismo.

Il problema non è la Bindi, è il PD

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Basta che uno vada per pochi giorni a godersi il sole sugli scogli del Circeo, che ti riciccia fuori il buon Silvio Berlusconi come candidato unico alla presidenza del Consiglio per Forza Italia (no, che dico, il PDL, ovviamente) e l’ottima Rosy Bindi con un documento in burocratese ostrogoto fatto approvare all’Assemblea Nazionale del PD che, in un colpo solo, ha:

1) Fatto arretrare la posizione di quello che, in pura teoria, sarebbe il maggiore partito riformista e progressista d’Italia su posizioni riguardo ai diritti civili che in Europa stonano perfino tra le fila dei partiti conservatori (in Alba Dorata, però, pare lo abbiano apprezzato per l’idea di fondo di mantenere un chiaro apartheid giuridico contro i froci)

2) impedito all’assemblea stessa di votare – come dire, democraticamente – su altri DUE ordini del giorno che parlavano di introdurre un istituto giuridico del tutto differente dalla melassa bindiana sui diritti individuali.

Insomma, nel XXI secolo sembra che la scelta per gli italiani tutti sarà ancora fra Silvio Berlusconi e Rosy Bindi. E’ che ci saremmo un attimo stancati di dover scegliere fra un crasso puttaniere miliardario che si fa gli interessi suoi e una signora sessuofobica, omofoba e reazionaria. Come detto altre volte: il problema non sono le posizioni omofobiche di Bindi. Il problema è il PD che ritiene di poterla avere fra le sue esponenti nazionali, nientemeno che presidente del partito.

Bene in tutto ciò sia l’IDV che il M5S, che hanno approfittato della pietosa sceneggiata in casa PD per sposare, scusate il giuoco di parole, il diritto al matrimonio per tutti coloro che desiderano sposarsi. L’IDV ha addirittura presentato un DDL alla Camera, e la cosa ha intanto avuto il potere di far dimettere qualche dirigente omofobo dal partito di Di Pietro.

Anche la posizione di Grillo – per altro niente affatto sessista, come ha fatto notare Elfobruno – farà perdere a quel partito i voti della parte più becera del suo elettorato, quello effettivamente con venature anti-sistema fascistoidi, e farà guadagnare allo stesso un po’ di voti progressisti, sempre più in libera uscita da quel porto delle nebbie (leggete Enrico Procopio su Pubblico) che oggi più che mai è il Partito Democratico italiano.

L’ostentazione del corpo del porco

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Sta facendo molto discutere in Italia, almeno ad ascoltare Radio Due, l’ostentazione del cadavere di Gheddafi alla folla libica, che si è ordinatamente messa in fila davanti all’obitorio per andare a verificare di persona la morte der puzzone, come chiamano i romani ogni dittatore o capo politico che è riuscito a durare nel tempo a discapito della volontà del popolo.

Ora, io capisco che anche nell’affaire Gheddafi siano esistiti degli eccessi: in via teorica-ideale, sarebbe stato meglio se invece di linciarlo e di trascinare il cadavere in giro per i villaggi, sputandoci su e giocando a palla con la sua testa, gli oppositori del rais lo avessero arrestato, tenuto in vita, sottoposto a processo e condannato a morte. Formalmente, sarebbe stata una scelta giuridicamente più civile di quanto è accaduto in realtà, anche se il prodotto finale di questo processo più etico-civile, sarebbe stato sempre lo stesso: una folla di concittadini di Gheddafi a far la fila fuori dall’obitorio per fotografarne il cadavere.

Il punto è che la politica è l’arte del reale, non dell’ideale o del teoretico. E nella realtà delle cose, se governi per 42 anni come dittatore, se condanni a morte qualche migliaio di persone, se tieni in scacco qualche milione di persone (di qualunque nazionalità, non importa assolutamente), se ordini gli stupri etnici, se disponi della vita e della morte dei tuoi concittadini trasformandoli in sudditi, come Gheddafi ha fatto, ci sta che, prima o poi, quando ti dice male – perché prima o poi TI DICE male – coloro che hai perseguitato col tuo potere idiota e assolutistico, si ribellino, e ti facciano letteralmente un bucio di culo come un secchio, per dirla come si usa nelle aule di Scienza politica di Oxford.

Tutto ciò è brutto? Forse. Sarebbe meglio il processo eccetera eccetera? Ah senza dubbio, magari all’interno della Corte Penale Internazionale, come ha cinguettato una sempre più fuori dal mondo Emma Bonino. Ma siamo di nuovo lì: le differenze fra realtà e teoria. Sulla base di queste considerazioni di realtà, io non trovo deplorevole e fuori di senno ciò che è accaduto in Libia. Allo stesso modo come non trovavo deplorevole ciò che accadde a Ceausescu, o ciò che accadde a Benito Mussolini a Piazzale Loreto. Piantiamola di ergerci a paladini della civiltà dall’Italia, un Paese dove regna un tizio a discapito della volontà del popolo solo con lo scopo di non finire in galera personalmente.

Quando Berlusconi cadrà – perché cadrà prima o poi – rischierà di essere abbandonato da tutti i suoi fedelissimi, che probabilmente saranno tra i primi a voler giocare METAFORICAMENTE a palla con la sua piccola testa ricoperta di pelo artificiale. Ecco, forse questo è l’aspetto da condannare: l’ira dei tuoi ex sostenitori, di quelli che ti hanno consentito con il loro voto, la loro complicità, la loro ingenuità nella migliore delle ipotesi (ma per quanti si può invocare la scusante dell’imbecillità totale? Pochi, secondo me, sono di più i complici) che si sviluppa, più violenta di altri, per un bisogno di espiazione delle proprie vergogne.

Se vogliamo parlare di senso etico, è su questo che bisogna spostare la lente. Non su quanto sarebbe stato meglio che a Gheddafi lo avessero arrestato in modo britannico, anziché di linciarlo e di fotografare e filmare i suoi ultimi istanti.

Su B. dall’estero: tra riso e vergogna

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Sulla potenza politica e demistificatoria del riso (inteso come ridere), esistono ormai intere biblioteche, a cominciare dagli studi di Aristotele e Aristofane, per arrivare a epoche più recenti coi saggi di Michail Bachtin (Estetica e romanzo; Rabelais e la cultura popolare), Henri Bergson (Il riso), Pirandello (L’umorismo) solo per citare i primi che vengono alla mente.

“Una risata vi seppellirà” era uno degli slogan del Movimento studentesco del 1977, la cui ala creativa affondava esplicitamente nelle teorie dadaiste del comico surreale. Ecco, forse leggendo le ultime intercettazioni riguardanti il “premier a tempo persoSilvio Berlusconi, credo che siamo arrivati proprio al punto più dada e surreale della politica italiana.

L’idea che questo brutto ometto coi tacchi si conquisti le prime pagine dei giornali del globo terracqueo per i suoi affari con un pappone-ruffiano e le sue decine di m.i.g.n.o.t.t.e (perché, cari lettori “escort” secondo me non rende l’idea), sfruttando gli ultimi ritrovati della tecnica e della scienza che gli consentono alla sua età di avere un’erezione è, in sé, qualcosa di poco udito nella storia del mondo. Intendiamoci: Berlusconi non è il primo politico malato di sesso e di potere, non è il primo uomo che considera le donne al pari di mezze calzette colorate (le paghi tanto, le infili poco, qualcuna la mandi a Milan Channel, qualcun’altra la fai ministro della Repubblica), ornamenti da sfoggiare nel fiore della loro età come segno tribale del suo potere personale. Quel che stupisce è che, scoperti gli altarini, Berlusconi non si dimetta, nella convinzione di poter ancora rappresentare tutti gli italiani anche in una situazione così fuori dal mondo.

Ma il punto a mio parere dada e surrealista sta nel momento in cui Berlusconi, scelto di non dimettersi, si diverte a citare (forse inconsapevolmente? non credo) frasi dell’Aldo Moro dalla prigionia delle Brigate Rosse. Aldo Moro, lo statista, nella sua prima lettera dal carcere clandestino scriveva di trovarsi “sotto un dominio pieno e incontrollato dei terroristi”; Silvio Berlusconi, il tarantinato-tarantolato, scrive di “essere sottoposto a un regime di piena e incontrollata sorveglianza”. Aggiungete questa cosa che non so come definire (“blasfema” mi pare riduttivo, sui forum di finanza (!) ci si chiede giustamente se non ci sia una patologia mentale galoppante, al di là degli aspetti blasfemi), del fatto che Silvio, l’uomo di Chiesa, il defensor familiae, l’unto del Signore, infilava il crocifisso fra le tette della Minetti (pare lo eccitasse; pare anche che credesse così di benedirle; non male la battuta di Rosanna Bi, mio contatto di Facebook, poi ripresa da Spinoza.it: “Berlusconi voleva il Crocifisso tra le tette della Minetti. Come in tutti i luoghi pubblici.”) e avrete che sì, siamo senza dubbio nel momento più surreale e dadaista della Storia d’Italia. Mi domando se l’Udc, ancora incerta sulle alleanze, riuscirà a contrattare con Berlusconi su questo punto, ottenendo magari che il crocifisso non venga infilato in pertugi ancor meno propri – se possibile – della signorina Minetti.

Eppure, ieri per la prima volta ho provato vergogna leggendo il giornale su questi fatti del Presidente del Consiglio. Pensavo di essere vaccinato: ho 37 anni, sono italiano, pensavo di averne lette e viste di ogni. E invece no: ieri per la prima volta mi sono proprio vergognato che questo sessuomane già giudicato “inetto” dall’Economist possa ancora associare il suo nome con quello del mio Paese. Sarà che vivo all’estero, sarà che sono diventato più sensibile all’idea di decenza. Ma ora che la risata c’è stata, forte e assordante dai quattro angoli del mondo, speriamo di assistere al seppellimento politico definitivo. Perché, credetemi: dall’estero non se ne può proprio più.

Nucleare, il gran pasticcio del nuovo quesito (e del governo)

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Se abrogo una legge che abroga il nucleare, cosa rimane? Il nucleare!

Ecco un caso in cui è proprio necessario fare una premessa di voto: io sono contrario al nucleare. A chi interessano i motivi della mia contrarietà, li può leggere qui. Eppure il nuovo quesito rischia di creare un effetto paradosso come non s’è mai visto prima nella storia italiana. Vediamo perché.

Sul sito Democrazia e legalità, di Elio Veltri, i redattori Gabriele Pazzaglia e Marco Ottanelli riassumono a mio parere in modo corretto cosa è accaduto fin qui con il quesito sul nucleare. Come recita la Gazzetta Ufficiale del 4 aprile 2011, esisteva un Decreto Legge, denominato 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo risultante per effetto di modificazioni ed integrazioni successive, recante “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e perequazione tributaria”. Di questo testo di legge, il comitato referendario voleva abrogare alcune parti (qui potete leggere gli articoli e i commi che si volevano abrogare) e su questo testo sono state raccolte le firme per il referendum abrogativo.

Come sappiamo, il governo Berlusconi – nel tentativo di non far svolgere il referendum contro il nucleare dopo lo choc di Fukushima, per paura che aiuti il raggiungimento del quorum il 12 e 13 giugno, quorum che potrebbe cancellare anche la legge ad personam che rende il Presidente del Consiglio “più uguale” degli altri cittadini dinanzi alla legge – il giorno 26 maggio ha approvato in Parlamento una nuova Legge che è una vera e propria moratoria contro la legge precedente, che istituiva il piano per il nucleare (Legge 6 agosto 2008, n° 133). Moratoria poi però pubblicamente sconfessata dal Presidente del Consiglio stesso, che in conferenza stampa assieme al Presidente francese Sarkozy ha ammesso il suo bluff.

La Corte di Cassazione, chiamata a decidere su cosa fare del referendum abrogativo verso una legge messa in moratoria-bluff, ha “visto il bluff” del governo e ha trasferito la richiesta di abrogazione dalla legge che istituiva il nucleare, alla legge moratoria-bluff, e precisamente, come si legge sulla nuova scheda elettorale: “Volete che siano abrogati i commi 1 e 8 dell’articolo 5 del Dl 31/03/2011 n° 34, convertito con modificazioni dalla legge 26/05/2011 n° 75?”

Ora, l’articolo 5 ha un titolo: “Abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari.” Il  comma 1 di quell’articolo 5 recita:

“Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, mediante il supporto dell’Agenzia per la sicurezza nucleare, sui profili relativi alla sicurezza nucleare, tenendo conto dello sviluppo tecnologico in tale settore e delle decisioni che saranno assunte a livello di Unione europea, non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare”.

Quindi il nuovo quesito referendario abrogherebbe un comma che stabilisce che il governo NON intende procedere verso la costruzione di centrali nucleari. Sul punto Pazzaglia e Ottanelli offrono un quesito che faccio mio:

“Chiaramente, l’intento della Cassazione dovrebbe essere quello di andare incontro alle intenzioni dei referendari, eppure rimane un piccolo dubbio, chiamiamolo così, lessicale: se abroghiamo una norma che prevede che non si attua il programma nucleare, che rimane?”

Quanto al comma 8, assai più lungo, in sostanza dice:

“[…] dopo un anno dall’entrata in vigore della legge sulla moratoria, il governo, sentiti gli organi competenti, adotta la Strategia energetica nazionale, che individua le priorità e le misure necessarie al fine di garantire la sicurezza nella produzione di energia, la diversificazione delle fonti energetiche e delle aree geografiche di approvvigionamento, il miglioramento della competitività del sistema energetico nazionale e lo sviluppo delle infrastrutture nella prospettiva del mercato interno europeo”.

Quindi, sempre come notano i due colleghi di Democrazia e Legalità, il comma 8 non parla mai esplicitamente di nucleare, ma di piani per l’efficienza, la sicurezza, la competitività, la differenziazione delle forme energetiche.  E Pazzaglia e Ottanelli pongono un’altra domanda che mi sento di condividere: “Allora la risposta alla domanda ‘cosa cambia, se vince il sì?’ non può che risiedere nella normativa che risulterebbe residua, ovvero tutti gli articoli ed i commi che sopravviverebbero della legge 26. Essi sono tutti abrogativi o modificativi della precedente legge sul nucleare, quella che era originariamente oggetto di referendum.”

Riassumendo, il 12 e 13 giugno siamo chiamati a votare per l’abrogazione di commi che mettono una (finta) moratoria sulla legge che dà il via alle centrali nucleari in Italia. Certo, rimarrebbero in piedi i commi 2, 3, 4, 5, 6, 7 che espungono il nucleare dai piani dal governo, ma non impegnano esplicitamente il governo a non iniziare centrali nucleari (cosa invece stabilita dal comma 1, abrogato).

Urge allora un intervento della Corte Costituzionale, effettivamente investita sulla questione da parte del Governo Berlusconi. Però la Corte dovrebbe secondo me interpretare questo pasticcio dicendo al caro Governo Berlusconi: la legge  26/05/2011 n° 75 e poi smentita dal Presidente del Consiglio in pubblico è anti-costituzionale perché rappresenta un modo fraudolento di confondere gli elettori chiamati a referendum abrogativo sul Decreto Legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito con modificazioni dalla Legge 6 agosto 2008, n. 133. Tra l’altro, a fronte di una simile decisione della Corte Costituzionale, si risolverebbe pure il problema non marginale del voto degli italiani all’estero, che si sono già espressi con le schede vecchie, quelle che abrogavano la legge originale del Governo Berlusconi pro-nucleare. Italiani all’estero che, col nuovo quesito, dovrebbero rivotare in massa, con il conseguente dilemma riguardo a come conteggiare quegli elettori nel computo dei votanti necessari per il famoso raggiungimento del quorum.

Per finire una domanda mia che pongo ai lettori: ma è possibile andare avanti con una simile classe di governo?

Sul tema ha scritto il 27 aprile 2011 anche Stefano Rodotà.