Anelli di fumo, la recensione de Il Fatto Quotidiano

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Andrea Pomella ha letto Anelli di fumo, e gli è piaciuto:

Confesso di provare una certa insofferenza per i romanzi che vengono definiti “generazionali”, ossia quei romanzi che tentano di restituire in un colpo solo i tratti e le manie di una categoria di persone unite da un comune dato statistico: l’età anagrafica. Sciltian Gastaldi ha da poco pubblicato un romanzo, Anelli di fumo (edito da Transeuropa), che inizia così: “La tua generazione è quella nata con due canali Rai. Quella cresciuta con i primi cartoni giapponesi trasmessi in Italia: Capitan Harlock, Goldrake, Heidi, Lady Oscar, Daitarn III e Candy Candy. Quella dei primi telefilm americani […]”.

Appena ho iniziato a leggerlo mi sono detto: “Ecco un romanzo generazionale”. Di più, mi sono detto: “Ecco un romanzo dichiaratamente generazionale”. E subito ho visto innalzarsi di fronte a me una parete pregiudiziale all’apparenza insormontabile. Il romanzo di Gastaldi, in effetti, è innegabilmente il ritratto di una generazione, una polifonia di voci che racconta le vicende di un gruppo di quasi quarantenni alle prese con una società in crisi di valori (un’altra idiosincrasia che ho è per l’espressione “crisi di valori”) e con strategie per colloqui di lavoro, aperitivi, amori surrogati, tentazioni da cervelli in fuga. Insomma, tutto il corredo che riproduce il giovane emerito attuale che della gioventù conserva il grado e le prerogative pur non possedendone più i requisiti materiali. Eppure, nella scrittura di Gastaldi c’è qualcosa che di solito non c’è nei canonici romanzi generazionali, e lo spunto per definire questa cosa me lo ha dato lui stesso a pagina 63 del libro, quando scrive: “Mi rammento di come i disegnatori della serie Jenny la Tennista accennavano i visi dei personaggi di sfondo: una serie di maschere tutte uguali, fatte di due tratti al massimo”.

Qui per il resto della recensione.

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