Fra i 63 libri letti quest’anno, sono inciampato in testi davvero pessimi. Ce ne sono quattro che mi sono rimasti particolarmente sul gozzo, e sono tutti saggi da una stella su cinque. Due sono poi dello stesso autore, uno storico canadese che brilla per partigianeria, omissioni e incompletezza. Sono libri talmente parziali e mal scritti che in confronto il primo romanzo più brutto è quasi un capolavoro.
La palma del peggior libro del 2014 è vinta senza dubbio alcuno da The Pope’s Legion. The Multinational Fighting Force that Defended the Vatican, di Charles A. Coulombe, che diversi colleghi definiscono come “a Fascist book”. Ecco come ho recensito il testo su Anobii:
Fra i testi di narrativa, arriva ultimo per il 2014 (comunque con 2 ricche stelle su 5) A cercar la rossa primavera, di Davide Lajolo. Ecco come ne ho parlato su Anobii:
Libro dal sicuro valore storico: scritto di getto al termine della guerra civile da parte di un ufficiale dell’esercito che sceglie di diventare partigiano, in Piemonte. E però, con immani limiti letterari, tali da farne una testimonianza, un ricordo, un diario, ma non certo un romanzo. I personaggi non sono nemmeno abbozzati: solo una serie di nomi e soprannomi cui non sono attribuite caratteristiche, tranne qualche rara eccezione di breve descrizione fisica. Maggiore attenzione è data alla descrizione delle azioni di guerriglia, alle reazioni dei civili e al confronto fra partigiani e repubblichini. Anche se da un punto di vista letterario questo è un non-romanzo, dal punto di vista storico è un testo fondamentale per capire il caos che regnò in Italia dopo il 25 luglio e l’umore del popolo e dei soldati davanti alla prospettiva di una guerra civile che diventava reale giorno dopo giorno.
Pochissime le note, in questo libro che si apre con il motto che gli zuavi stessi appuntavano sulle loro memorie. Un libro chiaramente a tema, con l’intento di far apparire i politici savoiardi, i garibaldini e i bersaglieri del Regno di Sardegna al pari di “empie canaglie” per citare la definizione di uno zuavo dell’epoca. La cosa buffa è che l’autore di questo testo è uno statunitense, per giunta di quelli alquanto digiuni di storia europea.
Se l’intera vicenda degli zuavi è presentata in chiave apologetica, romantica e idealista, sono particolarmente esilaranti alcune affermazioni su ciò che sarebbe stato della Spagna se per caso avesse vinto la Repubblica contro i franchisti, o sulla supposta fragilità delle fondamenta dello Stato italiano d’oggi, a cominciare dal referendum monarchia/repubblica. Per Coulombe ogni volta che c’è un plebiscito o un referendum popolare a confermare lo sfavore popolare nei confronti del papa-re o, più tardi, della monarchia stessa, i numeri non contano a causa dei brogli. Brogli che vengono dati di volta in volta per assolutamente certi e scontati, ma senza uno sbrenzolo di nota che indichi quali studi sostengono la teoria dei brogli, e entro quale eventuale misura.
Manca completamente l’analisi dei valori e dei principi per i quali gli zuavi e la Chiesa cattolica quebecchese si battevano e quindi il libro risulta a senso unico, come se fosse stato scritto da uno storico neo-nazista che intendesse esaltare le gesta militari della Lutwaffe e delle SS tedesche, senza mai chiedersi chi rappresentasse cosa.
Alquanto misero e patetico il tentativo di sminuire la figura di Garibaldi, che probabilmente fu chiamato “eroe dei due mondi” per una banale coincidenza, secondo Coulombe. Il Garibaldi qui tratteggiato è in buona sostanza uno sfigato, un senza-dio, una marionetta in mani altrui, con buona pace del suo reale spessore intellettuale, ma soprattutto dell’entità dei suoi successi militari. Tutte cose che si possono ignorare, secondo Coulombe.