Perché farne un film? Perché fare cinema?

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C’è stata una sorta di riunione di sceneggiatura, oggi, in casa Gastaldi. Non propriamente una classica riunione di sceneggiatura, perché hanno partecipato persone che hanno vissuto situazioni e anni che ora cerchiamo di portare sullo schermo. A un certo punto una delle persone intervenute mi ha chiesto: “Perché pensi di farne un film?” Ho risposto la verità, che poi è anche la risposta al perché si fa cinema. Per permettere alla gente di non dimenticare. Per sapere. Per illustrare. Per far vedere. Per onorare la memoria di chi non c’è più. Quando si parte da fatti veri, si scrive un film o un romanzo storico per permettere a chi non c’era di assistere, di immaginare, di farsi un’idea e magari poi, in altra sede, di approfondire. Non è semplice: noi partiamo obbligatoriamente da fatti traumatici per raccontare una vita bella e niente affatto traumatica. La sfida è questa: raccontare la normalità, anche quando è tranciata in modo non naturale, trasmettendo allo spettatore il concetto che dietro un assassinio, dietro un nome che diventa pubblico, c’è un privato, una famiglia, un’intimità, assolutamente in linea con il quotidiano più nostro, meno eclatante. La cosa difficile per chi scrive per il cinema è rendere ciò che è banale e quotidiano interessante per uno spettatore che, di partenza, non sa, o sa pochissimo. Ma è disposto a sapere di più. E’ una sfida che, dopotutto, serve anche a far capire come dietro agli uomini pubblici, si celino sempre storie private, scelte di tutti i giorni, aneddoti, tick, ingenuità, ottimismi, comuni a tutti. Dietro ogni personaggio c’è una persona. Che magari si mordicchia le dita, o si stropiccia le orecchie.

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