Ieri sono andato al cinema a vedere un film italiano arrivato nei cinema canadesi. Si tratta di “Io sono l’amore“, di tal Luca Guadagnino. Dico subito che erano dieci anni almeno che non uscivo dalla sala prima della fine per quanto questo film non m’è piaciuto. Ciò nonostante, l’ho visto quasi tutto.
Film pretenzioso, regia da scardinare le sedie e gettarle sullo schermo. Come se non bastasse, rappresenta un’aristocrazia industriale milanese davvero odiosa. Una specie di “Il giardino dei Finzi-Contini vorrei tanto ma non posso proprio“.
Naturalmente, all’estero, presso gli iniziati al cinema, il film è molto piaciuto, ma la sala completamente vuota tranne me e altre 5 persone su 450 posti rendeva giustizia alla pellicola. A Londra e Toronto i critici vanno in brodo di giuggiole per qualunque prodotto italiano che sia astruso e difficile da capire. Allora ecco che il regista qui ti mette sempre fuori fuoco l’immagine, fa dei movimenti sbagliati (carrellate da sinistra a destra e poi di seguito da destra a sinistra sin dal primissimo fotogramma, una roba da far venire la pelle d’oca), usa la macchina da presa come fosse una steady cam solo che non lo è, fa vedere quel che non interessa (lunghissima scena di coito fra Gabbriellini e la Swinton, metaforizzata e alternata con insetto verde della campagna che sugge polline da un fiore… AAAARGGH!) e non fa vedere quel che interessa, così che “lo spettatore se lo possa immaginare” e parliamo qui della prima scena in cui i due protagonisti finiscono a letto insieme, quando insomma vederli andare oltre il bacio – chiaramente sfocatissimo e impercettibile, come piace tanto a Guadagnino – avrebbe una sua economia per la storia.
Poi il regista cerca di imitare penosamente il cinema britannico alla James Ivory di “Casa Howard”, solo che per imitare Ivory ci vuole ben altro, per non dire che trasporre le squadre di servitù in divisa, per altro di etnia italiana, nel 2009 e non nelle magioni dell’aristocrazia inglese o italiana di fine Settecento, sembra un attimo azzardato.
Chiaro, le critiche qui in Canada sono molto alte. Non mi è difficile immaginare che a Londra pure lo siano state. Ma se vi capita andatelo a vedere, poi paragonatelo, chessò, non vi dico con Almodovar o qualunque altro regista europeo apprezzato nel mondo, ma anche con un Lars von Trier. Ecco, non vi ho detto un nome facile: fate il paragone con von Trier o Vittorio De Sica, e poi ne riparliamo.
Cioè, vediamo se ho capito bene… Tilda Swinton (ripeto per rendermene conto: Tilda Swinton!) mi recita in QUESTO COSO QUI?! Mi associo allo “scardinare le sedie e gettarle sullo schermo”.
Piccolo PS: l’aristocrazia (parola grossa!) industriale e l’alta borghesia milanesi SONO odiose di default, e dalla metà degli anni 90 ad oggi perseguono accanitamente l’obiettivo di trascendere il concetto di odiosità… il perché lo sai bene anche tu 😉
L’unica cosa positiva riguardo al film che si può dire è appunto che rende quella classe aristocratico-industriale lì dipinta davvero odiosa.
Ciao, il film non l’ho visto e non mi pronuncio. Ma ti ho “beccato” in un commento su Il Post e, da vecchio coinquilino e lettore sul Cannocchio, passo per un saluto. Ovviamente, ripasserò!:)
A me e’ piaciuto.
(scherzo scherzoooooooooooo)
😀
Montag, benritrovato allora! Mo’ vengo a vedere il tuo blog, sa? 🙂
L’unico merito di quel film è quello di rappresentare, fin troppo in dettaglio, la nullità di un’opera visuale tagliata con il laser furbetto del prodotto di (facile) esportazione. L’allure degli sponsor è imbarazzante. D’eleganza cinematografica nemmeno l’ombra. Milano ben rappresentata, in un osceno e purtroppo verosimile spot pubblicitario, costato troppo e di durata eccessiva.
Per gli amanti del genere ma in cerca di sostanza: meglio “Teorema” (1968) di Pasolini, “Cronaca di un amore” (1950) opera prima di Antonioni, “El angel exterminador” (1962) di Buñuel e “Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto” (quello della Wertmüller del ’74 con Giannini & la Melato, non il remake orribile di Madonna & ex coniuge: poteva chiedere il divorzio anche solo per quel filmaccio!).
Perché, “Mine vaganti” fischia ? Qui tutti in visibilio per un film che pare girato (male) dalla pro-loco. Lo vedo male il cinema italiano.
Fabio, permettimi, ma affiancare quei titoli lì è come dire: questa cosa, che è una merda, è marrone come il cioccolato della Novi, quello svizzero e anche quello con le nocciole. Teorema, il film, mi piacque assai, perfino più del libro. Cronaca di un amore lo amo a mia volta, e beh, la Wertmuller è sostanzialmente indiscutibile. Non ho ancora visto quello di Bunuel invece. Ce l’ho in bibilioteca in originale però, mi sa che lo prenderò.
Stéphanie, non l’ho ancora visto, ma lo voglio vedere. In ogni caso non sono d’accordo col tuo giudizio. Ho visto “La prima cosa bella” di Virzì e m’è parso un capolavoro. E sono curioso sull’ultimo di Daniele Luchetti, regista che amo, “La nostra vita”. Di recente, bello anche “Quando sei nato non puoi più nasconderti”.
Forse mi son spiegato male: quei film li ho citati proprio per dire come (secondo me e, a quanto ho capito, anche secondo te) va trattato un tema del genere: esattamente come NON ha fatto Guadagnino. Ma poi, da uno che nella filmografia vanta capolavori come Cento colpi di spazzola, tratto dal “capolavoro” di Melissa P, che possiamo pretendere?
Quanto all’ultimo Luchetti: gran bel film, molto realistico (fa sembrare perfino Raoul Bova un attore decente!!); unico, piccolissimo, neo: un finale un po’ troppo forzato nel suo happy ending. Ed Elio Germano è bravissimo, ancora una volta
Mi sa che prima di andare al cinema passo sul tuo blog allora 🙂
Comunque vedrai, Mine vaganti, sottotitolo “Quando la Tamaro incontra Dolce e Gabbana”. Per fortuna che il tempo passa ammirando il bonazzume del casting.
Fabio, sì siamo d’accordo allora.
Devo preoccuparmi, visto che una volta condivido perfettamente un tuo giudizio cinematografico 🙂 ?
Lo vidi anch’io a Milano, ne scrissi sul blog, stroncandolo. E’ un film orribile: una cazzata con molte pretese.
Certo che devi preoccuparti: significa che stai mettendo buon gusto. Cmqe mi dispiace deluderti, Stefano, ma in realtà abbiamo molto spesso (diciamo nell’80% dei casi) la stessa opinione sui film che vediamo al cinema, altrimenti non ti leggerei con tanto interesse da, diciamo, sei anni. Perché poi tu debba sostenere qui di avere un gusto COSI’ diverso dal mio, è un mistero che ti lascio volentieri.
Ma no, alludevo solo a due film su cui avevamo avuto due opinioni totalmente opposte: Match Point e Bareback Mountain, if you remember 😀
Sì, appunto, due film su non so quanti in comune ne abbiamo visti, ma direi oltre 100. Quindi altro che 80%.
O grande vate! Arrivò qui in Gallia “Quel che voglio di più” di Soldini. Che dici? Vado a vedere?
Ops, “Cosa voglio di più”
Eh non so, non l’ho visto Stéphanie 😦
vabbè ma allora che Vate sei? 😉
Eh, sono un vate neobarocco.